Roma, Quartiere Coppedé, Palazzi degli Ambasciatori, ingresso su via Dora
Bentornati nella nostra rubrica d’arte. Tra i buoni propositi che inevitabilmente mi sento di dover stilare ad inizio anno, di solito ne inserisco due: tentare di curare la forma fisica e lasciarsi incuriosire da realtà nuove, vicine e (se possibile da raggiungere) lontane. E unisco l’utile al dilettevole cercando di passeggiare molto.
Il 2015 mi ha portato a conoscere, in maniera del tutto accidentale, una fresca realtà romana, la Roma Slow Tour. La loro filosofia di viaggio lento (spesso condotto a piedi), di concedersi ogni tanto ritmi meno serrati e approfittare di questi momenti per conoscere meglio piccoli tesori incastonati in percorsi che spesso possono essere quotidiani per tanti nostri cittadini, mi ha conquistata. In più, durante queste passeggiate, vengono svelate locations di film che spesso fanno parte del nostro bagaglio culturale, con una propensione per le vecchie pellicole. Insomma, il mix mi è sembrato intrigante al punto tale da volerlo proporre mensilmente in questa rubrica.
Cominciamo questa passeggiata virtuale in un angolo della città che non compare nei classici percorsi turistici. Nel punto in cui si incontrano i quartieri Salario e Trieste, circa cento anni fa si decise di creare una nuova zona abitativa, destinata ad ospitare la classe medio-alta borghese. Il progetto fu affidato ad un architetto fiorentino, Gino Coppedè (1866-1927) interprete di uno stile assolutamente personale cui è stato dato il suo nome, che fino a quel momento aveva riscosso un successo positivo a Genova, in Toscana e a Messina. Le commissioni spesso venivano promosse dalla famiglia imprenditoriale Cerruti, che lo raccomandò anche in quest’occasione alla Società Anonima Edilizia Moderna per l’affidamento del nuovo cantiere romano. La progettazione e realizzazione degli edifici previsti fu però un ripetuto ed estenuante braccio di ferro tra la commissione edilizia, che propose a più riprese modifiche e limitazioni alle soluzioni artistiche da impiegare, e l’architetto, comprensibilmente insofferente ai vincoli imposti.

Scorcio dall’arcone di via Dora, sullo sfondo piazza Mincio e i Villini delle Fate
Perché il suo stile, ricco di suggestioni del passato medievale e rinascimentale, spesso sovrabbondante nelle decorazioni (tradendo la sua formazione nel laboratorio d’ebanisteria del padre), rientrava in qualche modo in un filone del cosiddetto “stile umbertino”, già in uso nella Capitale, ma i risultati proposti da Coppedè avevano in sé qualcosa che veniva percepito come straniante, alieno ai linguaggi architettonici cui Roma era abituata. Forse era stato compiuto un vero azzardo.
Ma il progetto rimase nelle sue mani, ripreso dopo la forzata pausa della Prima Guerra Mondiale, con la sola, sostanziale modifica della destinazione d’uso degli edifici, ora indirizzata ad una classe più signorile, che volesse dar mostra di sé con abitazioni in cui fossero previsti tutti i comforts allora concepibili (come la presenza di garage sotterranei) e dalle finiture esclusive. Un’ulteriore richiesta venne solo in parte esaudita: quella di tenere conto della “romanità” di questi nascenti edifici, che può essere rintracciata in alcuni, sporadici richiami che tributano la Roma imperiale: l’uso del travertino, il marmo romano per eccellenza, la scelta di inserire decorazioni a mosaico in stile pompeiano nei bagni e l’arcone ribassato che funge da ingresso al quartiere, che con la sua monumentalità ricordava gli archi di trionfo. A ben guardare, il rimando in realtà è un altro: pare che Coppedè fosse rimasto suggestionato dalle scenografie impiegate nel primo kolossal italiano, “Cabiria”, al quale collaborò anche Gabriele D’Annunzio.

Giovanni Pastrone, Cabiria (1914), ingresso al tempio di Moloch
E in particolare l’ingresso del palazzo al civico 2 di piazza Mincio presenta consistenti rimandi alle decorazioni interne del tempio di Moloch del film. Per una curiosa ironia, ciò che plausibilmente era stato ispirato dal cinema, si è trasformato in anni successivi in un ricorrente set cinematografico.

Quartiere Coppedè, ingresso del palazzo di piazza Mincio, 2
Quello che Coppedè riuscì ad elaborare combinando vari stili che spaziano dall’arte medievale nella particolare strombatura dell’arcata d’ingresso ai bei motivi dipinti che riproducono le ben più prestigiose decorazioni in opus sectile, ha colpito le fantasie di numerosi registi, per la maggior parte di film di genere thriller o horror, catturati dall’effetto magnetico di quel portone. La lista dei film in cui possiamo vederlo è impressionante: cito solo “La ragazza che sapeva troppo” (1960) di Mario Bava, “Il profumo della signora in nero” (1974) di Francesco Barilli, “The Omen- Il presagio” (1976) di Richard Donner e“Inferno” (1980) di Dario Argento.

Scena de “Il profumo della signora in nero” in cui si riconosce il palazzo di piazza Mincio, 2
Non è stato da meno anche l’ingresso del palazzo che lo fronteggia, chiamato Palazzo del Ragno per la particolare decorazione posta sopra il portone. Qui inoltre, sul prospetto di via Tanaro, è riportato il motto che meglio inquadra la concezione dell’arte di Coppedè: “Maiorum exempla ostendo/artis praecepta recentis”, ovvero “Rappresento i precetti dell’arte moderna attraverso l’esempio degli antichi”. E, in questo caso, oltre alle riprese di matrice classica, si trovano richiami allo stile assiro-babilonese nelle teste di leone impiegate come protomi.

Quartiere Coppedè, ingresso del Palazzo del Ragno in piazza Mincio, 4
Al centro di piazza Mincio, da considerare il nucleo di questo gruppo di edifici, come nella migliore tradizione romana fu collocata una fontana ornamentale di gusto barocco, la Fontana delle Rane, che strizza l’occhio alla deliziosa Fontana delle Tartarughe in piazza Mattei. Leggenda vuole che qui i Beatles, una volta concluso il concerto tenuto nel vicino locale Piper, si siano fatti un bagno notturno completamente vestiti.

Quartiere Coppedè, Fontana delle Rane in piazza Mincio. Sullo sfondo, i Villini delle Fate
A chiudere visivamente il prospetto della piazza si susseguono i tre Villini delle Fate, a creare una visione onirica e fiabesca rafforzata dall’uso di soluzioni architettoniche neomedievali (come le torrette e i loggiati) e un gusto decorativo che rimanda continuamente al Rinascimento fiorentino, con la celebrazione della città gigliata, tributi espliciti alle sue personalità artistiche e letterarie (sono citati passi danteschi e sul prospetto che affaccia su via Aterno è riproposto il ciclo degli Uomini illustri di Andrea del Castagno) e un abbondante impiego di materiali quali terracotta, travertino, ferro battuto, vetrate artistiche e legni intagliati. Tra le decorazioni presenti, si riconoscono chiaramente vari simboli: il leone alato di San Marco, l’aquila di San Giovanni, la lupa con Romolo e Remo e l’Albero della vita. È assolutamente comprensibile come il tenore Beniamino Gigli scelse uno di questi prestigiosi villini come sua residenza romana.

Quartiere Coppedè, Villini delle Fate, decorazione celebrante Firenze, città natale dell’architetto (credits: Roma Slow Tour)
Il progetto del quartiere, che avrebbe previsto diciotto palazzi e ventisette tra palazzine e villini fu prematuramente interrotto a seguito della morte di Coppedè nel 1927. Gli altri edifici già in opera furono completati sotto la guida di suo cognato, ma si approfittò della situazione per dirottare le successive edificazioni puntando su altre soluzioni abitative meno pregiate. Quelli proposti nella mia panoramica sono gli edifici più suggestivi, ma non mancano altri meritevoli esempi della fantasia sfrenata di Gino Coppedè.
Come ogni tanto mi capita, vi allego il link per una breve visita virtuale. Come si può dedurre dal video, il momento della giornata in cui questo quartiere guadagna ancora più fascino è dal tramonto in poi.
Se dopo questo racconto desiderate essere guidati nella scoperta del quartiere (con maggior dovizia di particolari) e di altri luoghi meno scontati di Roma, vi rimando al sito della Roma Slow Tour:
http://www.romaslowtour.com/?lang=it/
Qui è presente il calendario delle visite in programma fino all’inizio di marzo:
http://www.romaslowtour.com/blog/?lang=it
Pamela D’Andrea