Uno dei sintomi della crisi della civiltà Occidentale è la così detta “fine delle ideologie”, che si è a tal punto radicata ed è stata dalle nuove generazioni ormai interiorizzata da essere diventata essa stessa un’ideologia.
Ad una riflessione più attenta, la fine delle ideologie è stata preceduta da un periodo di conformizzazione che ha spianato la strada al deserto intellettuale della società di oggi. “Conformizzare” significa annullare il più possibile le differenze tra i vari soggetti, con la conseguenza che ogni individuo sa cosa si deve aspettare dagli altri componenti del suo gruppo: questo genera un certo grado di sicurezza negli individui stessi.
In periodi non sospetti ciò che veniva considerato “strano” ed “inusuale” era ritenuto degno di attrazione proprio perché in quanto differente dalla norma, avrebbe potuto rappresentare un valore aggiunto e uno scardinamento rispetto alle abitudini, premessa per un qualsiasi progresso, e quindi miglioramento della società.
Non è un caso che sinonimo di “abitudine” sia “vizio” e che il contrario di quest’ultimo sia invece “virtù”.
Nella società postmoderna attuale priva di ideologie di riferimento se non quella della “media” e della “norma”, tutto ciò che va a scalfire il consueto viene visto come un pericolo e una forma distruttiva di devianza. Il controllo sociale viene imposto con dei non-modelli di riferimento che sono ciò che viene lasciato filtrare dai mass media, dal qualunquismo, dai pregiudizi del senso comune.
Ma dove si può concretamente individuare il fenomeno e la sua applicazione? Il processo di “normalizzazione” che è causa a mio parere della crisi della nostra civiltà avviene già nella struttura base della società che è la famiglia. Come scriveva Giovanni Jervis: “La famiglia nucleare è la macchina che costantemente fabbrica e riproduce forza-lavoro, sudditi consumatori, carne da cannone, strutture di ubbidienza al potere; e anche nuovi individui condizionati in modo tale da ricostituire nuove coppie stabili, procreare altri figli, ricreare altre famiglie, e così perpetuare il ciclo. […] La famiglia contemporanea, nel momento stesso in cui comincia a non funzionare più, continua a fabbricare e condizionare dei bambini che le si rivolteranno contro, o che non riuscendo a rivoltarsi diventeranno nevrotici o psicotici; oppure cittadini conformisti, soddisfatti della loro mortale ubbidienza, mediocrità e normalità”.
Successivamente alla famiglia ci sono i gruppi dell’istruzione (la scuola), i gruppi economici (il lavoro) i gruppi del tempo libero e dello svago. Sociologicamente parlando ciò che è riscontrabile nelle micro realtà può essere proiettato e ripetuto anche nelle realtà più grandi, fino a creare per l’appunto il substrato sociale di un’intera comunità, città, nazione, civiltà.
Per concludere questo pensiero in libertà, editoriale di questo mese, che mi è stato suggerito dal libro di Sociologia dei miei anni universitari ritrovato per caso, credo sia intellettualmente stimolante ed appagante una rilettura della poesia di Pablo Neruda, Lentamente muore:
“Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marca o colore dei vestiti,
chi non rischia,
chi non parla a chi non conosce.
Lentamente muore chi evita una passione,
chi vuole solo nero su bianco e i puntini sulle i
piuttosto che un insieme di emozioni;
emozioni che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbaglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore
davanti agli errori ed ai sentimenti!
Lentamente muore chi non capovolge il tavolo,
chi è infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l’incertezza,
chi rinuncia ad inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta di fuggire ai consigli sensati.
Lentamente muore chi non viaggia,
chi non legge,
chi non ascolta musica,
chi non trova grazia e pace in sè stesso.
Lentamente muore chi distrugge l’amor proprio,
chi non si lascia aiutare,
chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna.
Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,
chi non fa domande sugli argomenti che non conosce,
chi non risponde quando gli si chiede qualcosa che conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi,
ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo di
gran lunga
maggiore
del semplice fatto di respirare!
Soltanto l’ardente pazienza porterà al raggiungimento di
una splendida
felicità.”
Filippo Piccini