Analisi se ne sono fatte molte in questi giorni che hanno seguito gli attentati di Parigi, soprattutto a caldo, e oltre alle solite condanne unanimi da un lato, reazioni emotive dall’altro, il tutto condito dalla sempreverde retorica strappa consensi facili del momento, più in là non si è andati.
Vale la pena ricordare che oltre al proporre e ottenere la chiusura delle frontiere o avanzare il ritorno della pena di morte in Francia per i reati legati al terrorismo (contro i kamikaze mi sembra proprio un’idea geniale), si è parlato di come ci scandalizziamo per i morti di Parigi e non per quelli di Beirut, di Baghdad o di tutti gli altri posti del mondo bersaglio degli estremisti, ritirando fuori addirittura un attentato avvenuto in Kenya lo scorso aprile facendolo passare come attuale, pur di tirare fuori la solita retorica ipocrita del “facciamo tutti schifo, è inutile mostrare la nostra umanità proprio adesso”; come se fosse così difficile capire che è più emotivamente ed empaticamente spontaneo solidarizzare con le persone che riconosciamo a noi più vicine, in questo caso i francesi, e fare dei luoghi in cui magari si è stati, Parigi, un’immagine della propria casa piuttosto che quella di altri. Non c’è niente da condannare in tutto ciò, salvo esserne consapevoli.
Il discorso poi è continuato nei giorni successivi in cui la reazione è stata da un lato “intervento militare subito”, così come Francia e Russia hanno fatto, e dall’altro “bombardiamoli con latte in polvere e biscotti” perchè le guerre di Bush non hanno risolto niente, anzi hanno contribuito ad ingigantire il problema fondamentalista e sono la principale causa di ciò che è successo adesso. Effettivamente è vero, dato che per fare un esempio i talebani nel 2002, prima dell’intervento USA ‘boot on the ground’, controllavano un territorio inferiore rispetto a quanto non controllino oggi dopo 13 anni di guerra, vite umane perse ed ingenti risorse spese comprese. Così come è probabile che i figli degli iracheni rimasti orfani dalle incursioni USA in Iraq dal 2003 in poi (dove tra finti dossier, Abu Ghraib e bombe al fosforo si è umiliato oltre al popolo iracheno anche l’intera umanità) siano diventati dei fondamentalisti convinti in quanto hanno trovato nella religione l’unico rifugio morale disponibile e nella vendetta terroristica l’unica cosa che possa aver dato un senso alla loro vita sconvolta.
Tutto ciò ad un’analisi intellettualmente onesta, che non tutti i commentatori e politici nostrani (alcuni dei quali sciacalli e ignoranti) possono volontariamente fare, è ineluttabile e incontrovertibile. Per questo sono d’accordo con la Mannoia che non ha dubbi su di chi siano le responsabilità. E’ vero, sono dell’Occidente. Il problema che rimane è come uscire dalla situazione attuale e trovare risposte al delirio di massa che sta coinvolgendo tutti. Se dopo gli attentati alla redazione di Charlie Hebdo la risposta poteva essere di tipo ideologico, così come scritto nell’editoriale di gennaio, in quanto veniva attaccato direttamente il nostro diritto di espressione e quindi una maggiore libertà poteva risultare l’antidoto giusto, in questo caso ciò che viene attaccata è la nostra stessa esistenza da laici e infedeli, che vanno ad ascoltare musica peccaminosa, che consumano alcolici proibiti nelle brasserie o che partecipano ad eventi sportivi invece di pregare. Segno evidentemente che i terroristi non vogliono soltanto vendicarsi e starsene poi buoni nel loro Stato islamico, ma andare oltre, e che se un tempo il terrorismo veniva visto come una sorta di resistenza partigiana all’imperialismo americano, oggi bisogna rileggerlo in una chiave nuova.
E’ vero che gli attentatori hanno assaltato il Bataclan gridando “questo è per la Siria” tenendo a precisare che il loro atto è stato di vendetta per le bombe cadute sul proprio territorio, ma non possiamo ignorare che da quando lo Stato islamico si è auto proclamato (giugno 2014) le minacce all’Occidente e agli infedeli con tanto di video e filmati di ogni tipo, non sono mancate fin da subito, ben prima dell’intensificarsi dei bombardamenti in Siria da parte di Russia, Francia, coalizione USA, Iran e quant’altro.
Ogni guerra comincia con la pretesa di essere giusta da parte del soggetto che la rivendica, non si sa come finisce e non ha mai risolto un’altra guerra. Nella storia contemporanea è sempre stato così, tranne che per un’eccezione. Hitler. Quando c’è una mobilitazione ideologica molto forte, così come al tempo il nazismo, inteso come totalitarismo che si impegnava ad organizzare in ogni dettaglio la vita dei tedeschi (al punto da essere rivale anche della religione stessa vista da ostacolo al principio “totalizzante” dell’ideologia), qualsiasi pretesa di buon esempio, di dialogo, di investimento in cultura, viene purtroppo meno. La mia conclusione è questa. Si sarebbe potuto fermare Hitler senza una guerra? Nel caso in cui non si fosse intervenuto, in quale lingua staremmo scrivendo adesso? L’ideologia nazista voleva conquistare il mondo in nome di una rivendicata superiorità della razza ariana; il fondamentalismo islamico dell’ISIS vuole al tempo stesso dominare gli infedeli (quindi il resto della popolazione mondiale) seguendo ciò che Maometto ha scritto nel Corano. Sinceramente non vedo molte differenze, se non che nell’ultimo caso le motivazioni sono ancora più solide in quanto derivate da una religione antica millenni con dei dettami ben precisi, che non conosce la “misericordia” e la “pietas”; motivazioni che rispetto ad una qualsiasi altra ideologia materialista o nichilista, risultano essere ben più caratterizzanti, in quanto interne alla dimensione spirituale.
“Proclamo ad alta voce la libertà di pensiero e muoia chi non la pensa come me” diceva Voltaire, di cui si celebrava ieri l’anniversario della nascita, e nella cui via intitolata a suo nome venivano compiuti gli attentati di Parigi dell’ormai tragico 13/11 del mondo.
Filippo Piccini