Un paio di settimane fa, parlando de “La legge del mercato“, film francese incentrato sulla profonda crisi degli ultimi anni, scoprivamo attraverso il personaggio di Vincent Lindon, le implacabili leggi, che regolano il complesso meccanismo del mondo del lavoro e come questo alle volte fa tutto, tranne che nobilitare l’uomo. Questa volta, il medesimo tema (anche se con innegabili varianti), viene affrontato a casa nostra da Massimiliano Bruno, che grazie alla complicità di Paola Cortellesi, adatta un suo monologo teatrale e lo trasforma in un apparente commedia nostrana dal gusto decisamente amaro.
Luciana, giovane proletaria, con un forte senso del dovere, vive nella provincia laziale insieme a Stefano, che si diletta nella maggior parte del tempo a sbarcare il lunario con scommesse o fantomatiche idee, che si rivelano inevitabilmente un buco nell’acqua. La vita trascorre serena, tra chiacchiere, amici e uscite il sabato sera, fino a quando Luciana resta incinta e questo fatto di per se straordinario, diventa una condanna, che determina la sua esclusione dal mondo del lavoro. Inizia da qui il suo calvario, che per circa nove mesi la terrà psicologicamente in ostaggio, tra false promesse e speranze disattese.
Il lavoro (anche se parliamo di una fabbrica) per lei è tutto, anche se come ammette ti garantisce una vita tutt’altro che spensierata, ma è l’unica cosa che consente di sopravvivere o almeno così sembra, perchè in questa storia, non dobbiamo dimenticare che si sviluppa una vicenda alterna, che vede protagonista un poliziotto appena trasferito, con molti scheletri nell’armadio. Luciana, sarà forse una delle ultime nella scala sociale, ma sicuramente una tra le prime in fatto di dignità e determinazione. Lei rivuole il suo lavoro e la sua vita non certo esaltante ed è pronta a tutto in nome di questo.
La pellicola, (prologo a parte) inizia con una vena comica, per poi trasformarsi mano a mano, in un melò sociale, che tra imperfezioni e momenti drammaturgici non sempre riusciti, ricorda il nostro bellissimo cinema di un tempo, che oggi fatichiamo non poco a ritrovare. Non avrà la classe e l’eleganza stilistica del film di Brizè, ma possiede una sua autenticità e veridicità, che in qualche modo ce lo fa sorprendentemente apprezzare.
Laura Pozzi