Il trittico di Antonello da Messina: insieme è meglio (finché dura)!

Ricomposizione in forma di trittico dell’opera di Antonello da Messina

Bentornati nella nostra rubrica d’arte. Da pochi giorni è possibile ammirare il risultato di una fruttuosa operazione di prestito “a lungo termine” (quindici anni) che ha interessato la Galleria degli Uffizi di Firenze e la Pinacoteca del Castello Sforzesco di Milano.

L’ambizioso progetto di scambio è stato pensato e fortemente voluto dall’uscente Direttore degli Uffizi Antonio Natali, e ha coinvolto il critico Vittorio Sgarbi nel ruolo di intercessore presso Roberto Maroni, Presidente della Regione Lombardia, alla quale appartiene il pannello con il San Benedetto, acquistato nel 1995 per essere inserito nelle collezioni del Castello Sforzesco come unico esempio della pregevole arte di Antonello da Messina (1430 ca.-1479). In cambio, per lo stesso lasso di tempo, è stato scelto di trasferire nella città meneghina la Madonna con Bambino e un angelo di Vincenzo Foppa (1427-1515), pittore bresciano contemporaneo di Antonello, considerato il più alto esponente del Rinascimento lombardo prima dell’arrivo di Leonardo da Vinci a Milano.

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Vincenzo Foppa, Madonna con il Bambino e un angelo (1479-80, tempera su tavola, Firenze, Galleria degli Uffizi)

L’attenzione, non se la prendano a male gli estimatori del Foppa, è stata soprattutto puntata sul ricongiungimento dei tre scomparti ormai incontrovertibilmente attribuibili ad Antonello da Messina, in quello che, per il momento, appare come un trittico. Il punto è che questo scambio, ratificato dallo stesso Mibact, potrebbe aprire uno scenario nuovo sull’attuazione delle proposte di ricomposizione, per un periodo più lungo di una convenzionale mostra, di strutture complesse come i polittici.

Nella storia dell’arte, spesso si sono verificati smembramenti di polittici o pale d’altare in parti più piccole, una volta che questi venivano considerati modelli di arte superata e sostituiti con opere più consone ai gusti dell’epoca (pensiamo al periodo barocco, che ha voluto cancellare molti esempi di arte medievale), sfruttando il fatto che le immagini spesso potevano avere una loro valenza anche prese a sé stanti. Così, i pannelli con le figure più rilevanti e le scene delle predelle o delle cimase hanno alimentato per anni le mire di collezionisti e il conseguente mercato antiquario. Queste operazioni ovviamente non tennero mai conto del progetto unitario pensato dall’artista che lo aveva realizzato, vanificandolo. Ed episodi di tale portata si sono verificati con una certa frequenza fino a quando, durante la metà dell’Ottocento, non maturò una consapevolezza del valore delle opere d’arte riconosciute come tali, indipendentemente dal periodo storico in cui vennero realizzate. E da allora, studiosi e critici d’arte sono chiamati a fare chiarezza sulle attribuzioni delle opere.

Il caso di questa settimana è, in questo senso, molto interessante. L’artista in questione, Antonello da Messina, era apparso già ai suoi contemporanei come un maestro dalla straordinaria capacità di mediare linguaggi pittorici differenti, offrendo prove in cui fondeva alcuni stilemi catalani e provenzali appresi alla corte napoletana durante l’apprendistato presso il maestro Colantonio, le innovazioni fiamminghe (l’uso della pittura a olio, che per la brillantezza dei suoi colori in breve tempo fu preferita alla pittura a tempera; la resa realistica dei dettagli che componevano le figure e le ambientazioni) con l’attenzione, tutta italiana, alla spazialità in cui collocare la scena e lo studio per rendere sempre più verosimile la tridimensionalità. Il suo particolare apporto era però la capacità di trasporre e connotare le sue figure di tratti psicologici credibili.

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Antonello da Messina, Madonna con Bambino e angeli reggicorona (1470-75 ca., olio su tavola, Firenze, Galleria degli Uffizi, particolare)

Prendiamo in esame le figure di questo trittico: chi per prima cattura l’attenzione è la coppia costituita dalla madre con il bambino, colti in un gesto molto intimo e naturale, dove il bimbo tira il velo della madre nel tentativo di accostarsi al suo volto. La madre ricambia il gesto tenero abbozzando un sorriso e lo sorregge per permettergli l’impresa. Questa è una rielaborazione in chiave moderna dell’iconografia della bizantina Madonna Eleousa (“della tenerezza”), già riproposta pochi anni prima nella Madonna Pazzi da Donatello. Gli angeli reggicorona sono di matrice fiamminga, mentre lo stile del trono sul quale è assisa è catalano.

Un’altra caratteristica distintiva dell’arte di Antonello è la bravura nell’eseguire i ritratti. È necessario ricordare che nella prima metà del Quattrocento i ritratti venivano fatti di profilo, seguendo l’esempio della medaglistica romana. Come abbiamo già detto, Antonello scelse di ritrarre i propri soggetti seguendo l’esempio fiammingo, vale a dire ponendoli di tre quarti, con lo sguardo rivolto verso lo spettatore. Uno sguardo vivo, eloquente, reso ancora più realistico dalla luminosità della pittura ad olio, che restituisce quel necessario guizzo o una certa liquidità nelle iridi. A ben guardare, anche se non si può parlare di veri ritratti, troviamo queste caratteristiche anche nel San Benedetto e nel San Giovanni Evangelista.

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Antonello da Messina, San Benedetto (1470–75 ca., olio su tavola, Milano, Pinacoteca del Castello Sforzesco, particolare)

Che le due figure siano state concepite per far da pendant tra di loro lo scopriamo analizzando alcuni attributi. Entrambi reggono un libro, identificabile per il San Giovanni con il suo Vangelo e per San Benedetto la Regola stilata per il suo Ordine; entrambi presentano l’effigie di un piccolo drago, nel San Giovanni emerge dalla coppa che tiene in mano, nel San Benedetto è riconoscibile nella voluta del pastorale: il riferimento ricorda che tutti e due hanno subito un tentativo di avvelenamento da persone a loro vicine. E infine, la monumentalità delle loro figure, i manti che restituiscono la corretta tridimensionalità accentuata dalle pieghe dei pesanti manti.

Analizziamo ora in quale modo si è potuto arrivare a intendere queste tre tavole come facente parte di un polittico. Innanzi tutto, hanno in comune la terminazione trilobata in alto (quella della tavola con la Madonna è stata “spuntata” per dare una dimensione analoga a quella del San Giovanni); si prosegue nel riconoscere che le figure emergono da un comune fondo oro, arricchito da punzonature che disegnano racemi. Su questo sfondo, si proiettano le rispettive ombre, che sconfinano nel pannello adiacente, e che legano indissolubilmente tra loro queste figure.

Ma finora ho parlato prevalentemente di polittico, sottintendendo che fossero previsti altri due pannelli che non ci sono pervenuti. Seguendo le deduzioni presentate anni fa dallo storico dell’arte Federico Zeri, anche io sono portata a credere che ci siano altre figure che andrebbero messe in relazione a questo trittico, identificate nelle cimase con i tre santi Dottori della Chiesa che sono conservati a Palermo, ormai anche loro considerati autografi di Antonello. Nello specifico, abbiamo un San Gregorio Magno, un San Girolamo e un Sant’Agostino. Manca un Sant’Ambrogio, che con molta probabilità sarebbe dovuto essere rappresentato di profilo come il San Girolamo, e presumibilmente queste erano le due figure più esterne. Il trait d’union con il trittico è da rintracciare nella scelta dello stesso fondo oro punzonato. Peccato che ci siano arrivati in condizioni conservative più precarie delle altre tavole.

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Antonello da Messina, San Gregorio Magno, (1470-75 ca., tempera grassa su tavola trasportata su tela, Palermo, Palazzo Abatellis)

Considerando che i polittici di solito avevano pannelli in numero dispari, si capisce che ai santi Giovanni e Benedetto seguivano, uno per parte, altri due scomparti, ma ne ignoriamo la dedica. Sicuramente, manca anche lo scomparto che sarebbe dovuto collocarsi sopra la Madonna con il Bambino, e i soggetti plausibili a tale posizione possono essere stati un’Annunciazione o una Pietà.

Una volta individuate le tessere di questo virtuale puzzle, dispiace che non si sia potuto ottenere un prestito da Palazzo Abatellis per riunire le ormai riconosciute parti mancanti. Ma forse, questo primo prestito incoraggerà a riproporre analoghe azioni. In attesa di buone nuove, consiglio la visita degli Uffizi:

http://www.polomuseale.firenze.it/musei/?m=uffizi

Nella preparazione di questo articolo, mi sono imbattuta in un’affascinante, quanto spinosa storia riguardo all’ ”eredità Bardini”, che si concluse dopo circa trent’anni con l’acquisizione nel 1996, da parte dello Stato Italiano, delle due tavole con la Madonna con Bambino e il San Giovanni per destinarle agli Uffizi. I travagli che si nascondono dietro la godibilità di un capolavoro possono essere veramente inaspettati:

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2002/04/20/ant...

 

Pamela D’Andrea

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