The program // Stephen Frears

“Everybody Knows” cantava Leonard Cohen nel 1988 e le leggendarie note che chiudono la visione di The program, ben si addicono a questa (purtroppo) storia vera, che è diventata uno dei più grossi scandali sportivi di tutti i tempi.

Lance Armstrong, considerato un discreto ciclista e niente più, dopo aver sconfitto un cancro che lasciava ben poche speranze di vita, si trova sette volte vincitore del Tour de France. Sembrerebbe quasi un miracolo, o come dice lui stesso durante l’epilogo una storia perfetta, se non fosse che non è vera, così come tutti i suoi proclami a favore dei malati di cancro che per anni non hanno fatto altro che credere alle sue bugie, perché come lui stesso afferma “dico loro quello che vogliono sentirsi dire”.

In questa rivoltante storia di finto successo, di vero c’è solo la fredda, calcolatrice e megalomane personalità di Armstrong a cui interessa solo vincere, non importa come, l’unica cosa è essere il numero uno. E proprio in virtù di questo, diventa fulcro su cui ruota il programma, costituito dall’assunzione di droghe dichiarate illegali e di come farla franca sui controlli anti doping. Stephen Frears, nel raccontare la storia si tiene ben a distanza da qualsiasi immedesimazione, illustra i fatti ispirandosi direttamente al romanzo “Seven deadly sins” del giornalista irlandese David Walsh  l’unico a non credere fin da subito alle grandiose imprese del ciclista.

Il film, risulta convincente e coinvolgente, grazie alla tensione generata dai fatti, che appaiono improbabili, ma su cui nessuno sembra avere il minimo dubbio. Armstrong, forte della sua vittoria contro la malattia, diventa paladino di speranza e lealtà, promotore di come solo la forza di volontà possa trasformare un uomo in vincitore assoluto. Creando così un falso mito idolatrato in tutto il mondo, per scoprirsi poi mostro di un cinismo inaudito. Quello che resta alla fine è una sensazione di disgusto non solo per la sua figura, ma per tutto quello che gira intorno, per come uno sport appassionante come il ciclismo (ma non solo) possa ridursi ad una farsa, per soddisfare manie e ossessioni di mediocri individui.

Sì perché alla fine non possiamo non considerare Armstrong  che questo, un impostore che di fronte alla sua brama di potere  non conosce scrupoli e che nonostante dopo aver perduto tutti i titoli annullati nel 2012, continua inesorabilmente a considerarli suoi.

Laura Pozzi

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