Castello di Sammezzano, la Rotonda (photo credits: Lost in Decay)
Bentornati nella nostra rubrica d’arte. Probabilmente abituati a poter usufruire di una scelta incredibilmente vasta di tesori artistici, a noi italiani capita che possa sfuggire, per svariati motivi, l’esistenza di veri gioielli architettonici.
Per tanti anni la tenuta di Sammezzano (distante circa trenta chilometri da Firenze), comprendente un parco dalla considerevole estensione di 185 ettari e un castello unico nel suo genere, perché interamente decorato in un connubio di stili orientali, era nota solo alla gente che abitava nei dintorni. Non giovò alla sua conoscenza di massa il fatto che, dopo essere stata depredata dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale e lasciata in abbandono, fu rilevata per ospitare un hotel con ristorante annesso nel ventennio compreso tra gli anni Settanta e Novanta, fino ad essere stata acquistata all’asta da una società italo-inglese nel 1999, nuovamente con l’intento di trasformarla in un resort di lusso, ma che, di fatto, non è riuscita ad arginare il decadimento della struttura. Si direbbe che l’allora spesa sostenuta non valeva più l’impresa: adesso, fallita questa società, la tenuta va di nuovo incontro al destino dell’asta, che si terrà il prossimo 20 ottobre.
Ma una nuova consapevolezza sul suo enorme potenziale sta accompagnando e forse determinerà un destino diverso da quello che cinicamente sembra il più probabile (con qualche magnate o società che intenda sfruttare la sua insolita bellezza per il godimento dei pochi che possono permettersi il lusso di soggiornarvi): da qualche anno, un comitato di volontari (il Comitato FPXA 1813-2013, nato per celebrare il duecentenario della nascita del marchese Ferdinando Panciatichi Ximenes d’Aragona, al quale si deve il suo attuale aspetto) sta svolgendo l’opera titanica di far conoscere o riscoprire il castello, permettendo con sporadiche ma provvidenziali visite guidate di percorrere ed ammirare le sue splendide sale. Così le immagini di questo inestimabile tesoro hanno iniziato a circolare nuovamente e stuzzicare la curiosità di un pubblico sempre crescente, italiano e straniero, cui risulta veramente difficile comprendere come sia stato possibile che finora il Governo non si sia interessato riguardo il suo acquisto, né il perché sia pressoché precluso alle visite.
Si fa sempre più forte la volontà di restituirlo al godimento di tutti, come è giusto che sia il destino di un bene riconosciuto tangibilmente come patrimonio culturale. E con alta probabilità, ritengo fosse anche il fine che aveva prefigurato lo stesso marchese, che impiegò quarant’anni della sua lunga vita e una considerevole parte delle sue fortune per realizzarlo, lasciandoci una sorta di testamento spirituale.
Ma, come già accennato, finora il ministro Franceschini non ha dato cenni di interessamento riguardo questa causa. Da qui è partita un’idea che si affida allo strumento del crowdfunding per cercare di ottenere ciò per il quale le istituzioni sembrano latitare: una realtà che sappia restaurare e gestire la tenuta per renderla fruibile. Il sogno della pagina Facebook Save Sammezzano è questo, e il mio consiglio è di firmare la petizione, far conoscere questa realtà e, possibilmente, contribuire a raccogliere i soldi per il suo acquisto.
https://www.facebook.com/savesammezzano/info/?tab=page_info
Una missione impossibile? Un’utopia? Probabilmente sì, ma penso giovi ricordare che operazioni analoghe in passato hanno permesso di legare alla propria identità cittadina opere d’arte di grande valore, personalmente ne ho già parlato per la Pietà Rondanini di Michelangelo, ma non mancano altri esempi. Il senso civico e l’amore per l’arte potrebbero fare la differenza, trasformandoci nel nostro piccolo in mecenati. E ritengo che poter visitare il castello sapendo di ricoprire questo ruolo, quello di suo mecenate, può solo aggiungere gioia alla meraviglia che inevitabilmente suscita.
Il motivo è presto detto: ci troviamo di fronte a uno dei rari esempi di arte orientalista in Italia, un caso di riuscito sincretismo artistico nel quale si combinano mirabilmente le influenze desunte dagli ambienti arabi e indiani, i dichiarati omaggi all’arte moresca nell’uso dei soffitti a muqarnas, e nella resa, tramite stucchi, dei delicatissimi trafori. Ci si sente avvolti dalla fantasmagoria di colori delle vetrate e invitati a infilare una sala dopo l’altra (tradizione vuole che siano 365, come i giorni dell’anno), che riescono nel difficile intento di non ripetere le decorazioni utilizzate. Questa cura maniacale per il particolare e l’alta qualità della manifattura artigiana impiegata per le maioliche, gli stucchi, le pitture, sono riconducibili all’attenzione prestata dal suo proprietario e ideatore, il marchese Ferdinando Panciatichi Ximenes d’Aragona (1813-1897), una figura che vale la pena approfondire.
Proveniente da una nobile famiglia, tra le più in vista a Firenze, dopo una lunga battaglia legale riuscì ad entrare in possesso della consistente eredità dello zio materno, che comprendeva anche la tenuta di Sammezzano. E non poteva esserci proprietario più illuminato. Aveva una personalità decisa e ricca di ideali che portava avanti con trasporto (lo dimostrano la partecipazione ai moti risorgimentali del 1848 o la carica di senatore del neonato Regno italiano), esprimeva francamente le proprie convinzioni, attitudine che determinò nei suoi confronti la diffidenza da parte dell’alta società e il suo successivo allontanamento dalle cariche pubbliche, contribuendo alla scelta di un isolamento volontario nel suo castello. La ristrutturazione del quale, cominciata nel 1853, prese così una piega particolare: non solo interprete della sua personale passione per l’Orientalismo allora in voga, ma veicolo di messaggi e moniti, disseminati nelle varie sale. Si possono trovare motti in latino (il più ricorrente è l’espressione “Non plus ultra” a dimostrazione della piena consapevolezza di star realizzando un progetto unico e di altissima qualità, inarrivabile) e versi della Divina Commedia dantesca, di cui era profondo conoscitore. Ma forse, la frase che più colpisce, una volta identificata l’iscrizione latina nella Sala delle Stalattiti, è quella che riferisce una profonda amarezza sulla situazione politica di allora che sembra ancora perfettamente calzante al giorno d’oggi: “Mi vergogno a dirlo ma è vero, esattori, prostitute, ladri e sensali tengono in pugno l’Italia e la divorano. Ma non di questo mi dolgo, quanto del fatto che ci siamo meritati i nostri mali”.
Un’ ulteriore conferma della sua ricchezza culturale viene dimostrata apprendendo che il marchese, che non condusse studi universitari specifici, fosse divenuto membro onorario dell’ordine degli architetti e degli ingegneri, per la perizia con cui curò ogni dettaglio della ricostruzione del suo castello.
Inoltre a motivazione del suo interesse per l’Oriente, mai visitato ma solo conosciuto attraverso i libri, sosteneva che le radici del nostro Rinascimento fossero da ricercare nell’apporto culturale dato dagli Arabi. Questa coraggiosa affermazione, accolta a suo tempo come un’eresia, dimostra invece una profonda conoscenza dei traguardi conseguiti nel mondo orientale che solo una personalità che ragionasse fuori dagli schemi consolidati poteva cogliere.
Questo è uno di quei luoghi talmente sentiti dal suo ideatore, che ha avuto i mezzi per poterlo plasmare a seconda del proprio gusto e delle proprie convinzioni, che porta dentro di sé un’anima. E ritengo ingiusto che sia lasciato in decadimento o possa finire nelle mani di persone che snaturino questa grande opera. Quindi, rinnovo l’invito a partecipare alla salvezza di Sammezzano.
Pamela D’Andrea