Henry Moore, Oggetto atomico (1964-65, bronzo, Londra, Tate Gallery; photo credits: Fulvia Palacino)
Bentornati nella nostra rubrica d’arte. Ci sono mostre che, per come sono concepite, per lo spazio scelto nel quale verranno accolte, mostrano subito la volontà di offrire un dialogo intelligente tra artista ospitato e luogo ospitante, in un rimando reciproco che travalica i secoli di distanza tra loro.
Da circa una settimana, le Grandi Aule delle Terme di Diocleziano accolgono il ritorno in Italia dell’opera di Henry Moore (1898-1986), uno degli artisti di maggior rilievo del secolo scorso, capace, durante la sua lunga carriera, di portare avanti una continua, prolifica ricerca che aveva come protagonista i rapporti tra materia e spazio, tra la figura umana e la natura, e che realizza una metafora visiva di compenetrazione tra questi soggetti. Ho la sensazione che la lunga assenza di una mostra dedicata a questo maestro abbia un po’ appannato la sua fama, o perlomeno, non sia subito così chiaro il perché venisse considerato, già in vita, il più grande scultore del Novecento. Ci viene in aiuto la suddetta mostra, una retrospettiva che cerca, attraverso le settantasette opere esposte, di restituirci una panoramica a tutto tondo del suo operato, suddiviso nelle tematiche portanti della sua arte. La parte del leone la fanno indubbiamente le sculture, che trovano nelle Grandi Aule uno spazio consono e suggestivo: le grandi dimensioni di alcune di queste statue sembrano adattarsi perfettamente, quasi fossero state pensate per essere ospitate in modo permanente qui, come nel caso delle monumentali figure distese. La sensazione è suggerita sia dall’effetto cromatico del bronzo, che ben si sposa con il laterizio a vista delle Aule, sia per la posa del soggetto, una figura antropomorfa che richiama alla memoria le sculture collocate sui sarcofagi etruschi.

Henry Moore, Modello di lavoro per la Figura distesa dell’Unesco, (1957, bronzo, Londra, Tate Gallery)
Non lasciamoci ingannare dall’astrazione intrapresa sulla figura, dall’innovativa idea di scavare la materia per investigare il rapporto della forma nello spazio: quello che vediamo è frutto di un lungo processo che ha previsto la sedimentazione di modelli di arte classica, quali i fregi del Partenone osservati al British Museum, le statue ammirate durante i suoi frequenti viaggi in Italia, un rimando non così scontato all’arte di Arnolfo di Cambio, grande maestro dello stile gotico, molto apprezzato da Moore (in questo caso, mi riferisco alla figura dell’Assetato). Tengo a precisare che pur facendo parte del suo bagaglio culturale, Moore non apprezzava molto l’arte classica e tutta la statuaria che nei secoli successivi ciclicamente attingeva a piene mani da quello stile. Ne è la riprova il suo interessamento dell’opera di Michelangelo: a colpirlo non furono le sue opere giovanili, famose iconograficamente in tutto il mondo, quanto piuttosto la sua ultima produzione. È per merito suo, grazie alle sue acute osservazioni, che è stata restituita dignità alla Pietà Rondanini (vi rimando ad un mio precedente articolo qui: http://virgoletteblog.com/2015/05/09/appunti-darte-7/), fino ad allora (parliamo del 1957) ancora considerata dalla critica semplicemente un’opera incompiuta. Moore riuscì ad intercettare in quelle membra innaturalmente allungate, in quell’appartenersi l’un l’altro nel rapporto madre-figlio una profonda religiosità e un forte senso di umanità. La sua lettura di quest’opera ha veramente fatto scuola (vorrei anche ricordare che insegnò arte per quasi quindici anni), ve la propongo in questo filmato:
Probabilmente il suo interesse per questa scultura si riallacciava ad uno dei suoi filoni artistici più noti, proprio quello raffigurante Madre e Figlio, trasformato a volte in una Madonna con il Bambino, con chiari rimandi alle ieratiche figure romaniche. Tendenzialmente, il rapporto tra queste due figure è proposto come rassicurante, la madre ospita nelle sue forme morbide il bambino, ma non sono mancate altre interpretazioni di questo tema, come in questa significativa scultura, in cui il figlio-serpente sembra attaccare la madre che prontamente si difende. Anche qui, in questa immagine all’apparenza aggressiva, intravedo l’umanità che connota profondamente le dinamiche di questo legame speciale, fatto di sopraffazioni e riappacificazioni reciproche, in un rapporto che si rigenera ogni giorno.

Henry Moore, Madre e figlio (1953, bronzo su base di legno, Londra, Tate Gallery)
Un percorso di investigazione analogo Moore lo intraprese riguardo la rappresentazione della figura umana e le sue relazioni con l’ambiente naturale, spesso intrapreso su scala monumentale e su commissione di prestigiose istituzioni. Il prodotto finale di questa ricerca ci ha regalato opere che considerano e dialogano cstantemente con il paesaggio naturale che le ospita. In alcuni casi colpisce la possanza di questa monumentalità, i volumi compatti e massicci che hanno il pregio di non dare mai l’idea del “pesante”, in altri contesti invece ci si lascia affascinare da figure antropomorfe che definirei “liquide” nel loro modo di distendere le membra, sensazione ancor più accentuata dalla scelta del bronzo lucido.

Scultura collocata negli Henry Moore Studios and Gardens nell’Hertfordshire, in Inghilterra
In ultimo, la mostra illustra la copiosa produzione di disegni, utilizzati come studio per i suoi soggetti. Ma soprattutto, è presente parte della serie sui rifugi antiaerei, “Grey Tube Shelter”, commissionata dal War Art Committee e realizzata negli anni 1940-41, che lo consacrò come portabandiera dell’arte britannica. Ai disegni in mostra è stato sin da subito riconosciuto, oltre al valore documentario della situazione londinese durante il conflitto, che vide i cittadini rifugiarsi nelle gallerie della linea metropolitana per sottrarsi ai bombardamenti aerei, anche un forte messaggio di speranza e fede, se si affrontano, uniti, anche i grandi traumi portati dalla guerra. Una sorta di “livella” sociale, che accomuna i destini delle persone distese una a fianco dell’altra, fino ad avere un contatto, che ancora una volta, porta con sé un invito all’umanità nei confronti del prossimo.

Henry Moore, Figure dormienti in rosa e verde (1941, grafite, inchiostro, guache e pastello a cera su carta, Londra, Tate Gallery)
Lascio il consueto riferimento per programmare una visita:
Henry Moore, Roma, Museo Nazionale Romano, Terme di Diocleziano, 24/09/2015 – 10/01/2016
http://www.coopculture.it/events.cfm?id=374
Con l’occasione, faccio presente che è possibile usufruire dell’offerta proposta da questo polo museale: il biglietto unico d’ingresso, che per l’occasione della mostra ha esteso la sua durata da tre a otto giorni, permette di visitare in questo lasso di tempo i quattro musei del circuito (Palazzo Massimo – Terme di Diocleziano – Palazzo Altemps – Crypta Balbi). E voglio sottolineare che ne vale la pena.
http://archeoroma.beniculturali.it
Pamela D’Andrea