Beni culturali: istruzioni per l’uso

Bentornati nella nostra rubrica d’arte. Il post che vorrei proporre questa settimana esula dagli argomenti che in questi mesi ho proposto, ma probabilmente ha un’importanza maggiore, perché ritengo sia alla base di come possiamo percepire, comprendere e agire nei confronti del vasto patrimonio culturale che appartiene alla nostra nazione e nei riguardi del quale siamo tutti chiamati (nessuno escluso) a comportarci in maniera corretta.

I recenti fatti di cronaca nazionale, che hanno visto nel giro di pochi mesi la mancata fruibilità (per una manciata di ore) da parte dei visitatori di due grandi colossi del turismo italiano quali il parco archeologico di Pompei e quello romano comprendente Colosseo e Fori Imperiali, ha fatto gridare allo scandalo molti, in primis i nostri attuali Presidente del Consiglio e il Ministro del MiBACT.

Si è parlato di figuracce a livello internazionale, di poca responsabilità da parte dei lavoratori in assemblea nei confronti del diritto alla visita dei turisti, che con molta probabilità avevano macinato chilometri per ammirare questi pezzi di storia. Premetto che non voglio entrare nel merito dei problemi salariali di chi lavora nell’ambito dei beni culturali, piuttosto, a me interessa soffermarmi sulla considerazione che un cittadino medio ha di una risorsa dal valore inestimabile.

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(photo credits: www.artribune.it)

Appartengo ad una generazione che ha visto, appena maggiorenne, un intensificarsi dell’attenzione verso i beni culturali motivata dall’incombente Giubileo del 2000, e dalla necessaria revisione della legge Bottai, che dal 1939 regolamentava le “cose d’arte”, approdata all’adozione del Testo unico delle disposizioni legislative in materia dei beni culturali e ambientali (Legge n. 490 del 1999). E da quel momento in poi, a mia memoria, si iniziò a parlare del patrimonio culturale italiano come di un prezioso “petrolio” attraverso il quale sarebbe stato possibile creare occupazione sia nell’ambito diretto dei beni culturali che nel turismo ad esso collegato. Guai a non approfittarne, a cavalcarne l’onda. Indiscutibilmente si è verificata una maggior sensibilità al tema e una maggior partecipazione agli eventi culturali (e personalmente mi soffermo solo sui dati relativi ai beni artistici), ma siamo ancora lontani da una gestione corretta di questo tesoro.

La mia riflessione al momento non vuole interessarsi delle falle nella gestione politica che viene portata avanti in questo ambito, anche se, tanto per dare un’idea di cosa sono i proclami fatti in merito e quali siano le effettive forze messe a disposizione, è necessario ricordare che a questo prezioso Ministero viene destinato un più che striminzito 0,19% del Pil nazionale. Evidentemente, questa cifra iniqua è destinata perlopiù a pagare stipendi, utenze e affitti dei vari luoghi della cultura, il che non risparmia comunque la chiusura di alcuni di questi perché non si possono sostentare in maniera autonoma.

Non è vero, ad esempio, che i proventi dei musei vengono reinvestiti direttamente nei musei stessi. Quindi c’è una forte discrepanza fra la cultura che ci propongono, dall’immagine vincente, e l’effettiva, quotidiana difficoltà di mezzi e risorse con cui viene portata avanti.

In un panorama poco consolatorio, trovo allora necessario partire dalle basi, dalla comprensione del perché tutto questo, nelle sue molteplici forme, faccia e debba far parte delle nostre vite. Troppo spesso ci dimentichiamo di avere una delle Carte costituzionali meglio concepite a livello mondiale, e che anche in questo caso inserisce, tra i primi articoli, un diritto fondamentale che, amaramente, vediamo spesso sacrificato.

Cito l’art. 9 della Costituzione: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. Per approfondire, ho pensato di allegare questi due link che permettano, usando termini semplici, di cogliere pienamente la portata innovativa di questo articolo, soprattutto considerando che siamo stati tra i primi a concepire e legiferare norme che interessassero il patrimonio storico, artistico e ambientale, inteso non solo come la fortuna di essere accolti in una nazione dai paesaggi naturali incantevoli, ma che, nel corso dei secoli, è stata interessata dalla creazione di mirabili paesaggi antropizzati (di certo non includo in questo esempio la frenesia costruttiva che ci ha investito dal Dopoguerra ad oggi…).

https://impariamolacostituzione.wordpress.com/2010/05/30/articolo-9/

https://impariamolacostituzione.wordpress.com/2010/06/14/articolo-9-parte-seconda/

Mi piace portare avanti discorsi che facciano presente che ciò che di bello ci circonda, prodotto dalla Natura o dall’uomo, è riconoscibile e percepibile da tutti. Tutti possono esprimere il loro punto di vista sul tema dell’arte. L’estetica, il settore della filosofia che si occupa della conoscenza del bello naturale e di quello artistico, si basa sul verbo greco “aisthanomai”, “io sento”, nell’accezione del percepire attraverso i sensi. E un paesaggio o un’opera artistica è percepita come un bene prezioso nel momento in cui scatena in noi una non necessariamente quantificabile serie di sensazioni, ci smuove qualcosa dentro, insomma.

Sorvolo sul lungo percorso che porta una cosa materiale ad essere riconosciuta come bene culturale perché perderei il filo del mio discorso. Una volta investito da questo nuovo status, il bene va tutelato, conservato e valorizzato. E sottolineo questo ordine preciso, secondo il quale vanno organizzate le attenzioni e le azioni sul bene in questione. Troppo spesso si assiste ad una predominanza dell’ultimo aspetto, quello della valorizzazione (che porta con sé i conseguenti aspetti che ne regolano la fruizione da parte di un pubblico) a scapito degli altri due, che sono da intendere come indispensabili, perché presuppongono e salvaguardano i concetti di irriproducibilità e irripetibilità insiti nel bene. Quindi va bene cercare di rendere fruibile un bene alla maggior parte di pubblico che intende goderne, ma la fruizione deve necessariamente sottostare a regole che diano la possibilità di conoscere direttamente quel bene per il periodo più lungo possibile. Non sono rari i casi in cui si stabiliscono dei tetti di accesso giornalieri ad un bene per preservarne la conservazione ed evitare che si alteri il microclima che ha permesso di mantenere le caratteristiche fisiche ottimali per la sua sussistenza.

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Non bisogna mai abbassare la guardia su questo aspetto, perché troppo spesso ci si dimentica che un bene materiale ha comunque una sua parabola di vita, che dipende dal materiale con il quale è stato realizzato. Nostro compito è impegnarci nell’individuare studi e strumenti che permettano di tramandarlo ai posteri. Perché, come sa bene chi abitualmente frequenta luoghi d’arte (e a volte basta una passeggiata condotta non in maniera distratta nel proprio centro storico per rendersene conto), niente può restituire quel senso di magnificenza dato dall’osservazione diretta di un’opera d’arte rispetto a una riproduzione fotografica della stessa. C’è chi, come me, quella magnificenza la definisce anima.

Quindi, non finirò mai di raccomandare un atteggiamento consono nei confronti di un bene culturale. Quelle che a volte possono sembrare richieste di comportamento eccessivamente restrittive (come non bere e non mangiare in un luogo culturale), sono solo norme di tutela necessarie che vanno rispettate.

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Recentemente, un ragazzo in visita al Museo di Taipei, inciampando, per non far cadere la propria bibita ha accidentalmente bucato con un pugno una tela secentesca di Paolo Porpora, che rimarrà danneggiata per sempre. (photo credits: www.huffingtonpost.it)

Pena il possibile danneggiamento del bene. E non è sempre garantita la possibilità di un ripristino che restituisca l’immagine del bene come fino a quel momento lo abbiamo conosciuto (la deturpazione della fontana della Barcaccia in Piazza di Spagna a Roma è l’esempio più immediato).

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Il triste spettacolo della Barcaccia devastata dagli hooligans olandesi (photo credits: www.famigliacristiana.it)

Un altro punto che mi sta particolarmente a cuore è quello di evitare l’ingerenza del privato nei confronti del bene culturale. Un bene culturale, secondo la legislazione vigente, sia che appartenga allo Stato o a un privato, deve essere fruito, proprio in virtù del suo essere parte del patrimonio culturale. Ci sono norme che regolano e garantiscono questa fruizione, anche quando si “costringe” un privato ad offrire in determinate occasioni il proprio bene agli occhi del pubblico di visitatori.

Un discorso a parte merita la discussione sull’ingresso dei privati nella gestione del patrimonio culturale nazionale. Bisogna sempre tenere a mente che il privato, anche in uno slancio di generosità verso la sfera dei beni culturali, spesso indirizza i suoi capitali verso azioni che diano un significativo ritorno d’immagine. Questo comporta problemi che potrebbero apparire secondari, ma non lo sono. Innanzi tutto, quando si offrono capitali per contribuire alle opere di restauro, si creano dei monumenti di serie A e altri di serie minore. La scalinata di Trinità dei Monti restaurata con i soldi della Biagiotti, il restauro della Fontana di Trevi da parte delle sorelle Fendi e, ultimo in ordine di apparizione, il Colosseo con Della Valle, non ritengo siano gli esempi virtuosi da portare avanti, anche se inevitabilmente necessari. La mia prevenzione sul tema è stata confermata dalla iniziale richiesta (poi fortunatamente ritirata), da parte di Della Valle di affiancare il logo del Colosseo a quello della sua azienda fino a due anni dalla cessazione degli interventi di restauro.

http://www.minimaetmoralia.it/wp/diego-della-valle-colosseo/

Qui non siamo di fronte a mecenati, come possono essere il miliardario americano Packard che indirizza le sue donazioni al sito archeologico di Ercolano, o il facoltoso giapponese Yuzo Yagi che ci ha restituito una quasi abbacinante Piramide Cestia. Ecco, ci sono vari modi per supportare l’arte, senza svenderne l’immagine. Perché ogni singolo monumento o opera d’arte costruisce la nostra sensibilità, la nostra umanità, giacché è prodotto dell’uomo, e ci unifica. Non deve sottostare a mode o leggi di mercato, non si può permettere di indirizzare i nostri interessi. Nella possibilità di godere di tutto lo spettro che include il nostro patrimonio culturale, si avverte la nostra libertà, la nostra identità.

E come ultimo consiglio, invito alla lettura di un piccolo saggio che definisco illuminante, scritto dallo storico dell’arte Tomaso Montanari, Istruzioni per l’uso del futuro. Il patrimonio culturale e la democrazia che verrà, Minimum Fax, 2014.

Pamela D’Andrea

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