Immaginate di tornare indietro nel tempo e di poter ammirare dal vivo gli esemplari di tutte quelle specie di cui abbiamo esperienza solo tramite ricostruzioni o anche di quelle di cui abbiamo assistito all’estinzione in tempi più recenti. Ebbene… potrebbe non essere necessaria una macchina del tempo!
Se avete pensato a Jurassic Park non preoccupatevi, per una volta non stiamo parlando di dinosauri…
Ricordate le polemiche che nel 1997 seguirono l’annuncio della clonazione della pecora più famosa del mondo, Dolly? Accadde perché si trattava del primo mammifero clonato a partire da cellule somatiche (quindi già differenziate) e rappresentava, quindi, la concreta possibilità di creare copie geneticamente identiche di organismi viventi molto vicini a noi.
Già, perché la clonazione di per se avviene in natura (parliamo di organismi unicellulari, alcuni invertebrati e piante) con varie modalità, ed è quella che in biologia si definisce riproduzione asessuata.
Mentre in laboratorio era già riuscita la clonazione di rane a partire da cellule di girini completamente formati, con gli esperimenti di John Gurdon alla fine degli anni 50, questa era la prima volta che il protagonista faceva parte della nostra stessa classe, quella dei mammiferi, e che la cellula di partenza fosse adulta.
La creazione di Dolly ha così dimostrato che i nuclei di cellule mature sono ancora capaci di svilupparsi e differenziarsi in una qualunque parte di un animale, caratteristica che era attribuita solo alle cellule embrionali.
Dolly morì a 6 anni per via di un’infezione polmonare, ma la sua sopravvivenza fino all’età adulta suggerì al mondo che il tempo della clonazione umana era vicino, dividendo così sia la comunità scientifica che l’opinione pubblica. Se da una parte, infatti, l’utilizzo della clonazione nella nostra specie può avere fini terapeutici (vedi cellule staminali), dall’altra il timore di sconfinare in applicazioni più discutibili è sempre in agguato.
Lungi da me entrare nel merito delle questioni etiche, questo preambolo ha come unico scopo introdurre l’argomento di oggi; la possibilità di utilizzare le tecniche di manipolazione genetica per salvare specie in via d’estinzione e, in alcuni casi, addirittura di de-estinguere specie già perdute!
Partiamo dall’inizio: nel 2009 viene clonato un esemplare di stambecco dei Pirenei, specie dichiarata estinta nel 2000 quando l’ultimo esemplare, di nome Celia, morì in seguito alla caduta di un albero.
L’animale clonato sopravvisse solo pochi minuti e comunque non avrebbe potuto de-estinguere la specie da sola; avendo a disposizione solo il materiale genetico di Celia si potevano creare solo altre femmine, per di più uguali identiche a lei. Per effettuare la clonazione è stato necessario avere il nucleo di una cellula dell’animale da clonare, una cellula uovo di un animale molto simile, sempre uno stambecco, ed una madre surrogato, in questo caso una capra.
In seguito a questo risultato si è sviluppato tutto un filone di ricerca nell’ambito di quella che viene chiamata de-estinzione o resurrezione biologica; altri animali sono stati clonati con procedure simili anche se finora hanno avuto vita breve.
Nuove tecniche di modifica del genoma, però, si stanno rivelando molto più efficaci rendendo meno campato per aria il progetto di reintrodurre il mammut lanoso nella steppa siberiana del Pleistocene Park, una riserva che si trova nella Siberia nord-orientale.
Da anni, infatti, in Asia molti ricercatori coltivano il sogno di “resuscitare” il mammut!
Tramite delle cellule di mammut conservate nel permafrost si è potuto procedere al sequenziamento quasi completo del genoma di due esemplari del pachiderma lanoso; lo studio pubblicato su Current Biology quest’anno mostra anche prove del calo di diversità genetica pre-estinzione del mammut di Wrangel.
Il sequenziamento di per se non ha come fine la “costruzione” del mammut, bensì l’ottenere maggiori informazioni riguardo aspetti come gli adattamenti al freddo e le modalità di scomparsa della specie.
In realtà riportare in vita una specie comporta tutta una serie di ostacoli, sia strettamente tecnici che di carattere ecologico; una specie non è solo un insieme di individui. Per vivere e riprodursi nel tempo essa ha bisogno di una certa variabilità genetica e di un ecosistema in cui integrarsi.
Per quanto riguarda la ricerca sulla de-estinzione la comunità scientifica non ha un unico punto di vista; mentre secondo alcuni è una grande opportunità anche per contrastare la scomparsa delle specie in via d’estinzione, secondo altri significa perdere tempo e risorse che potrebbero essere destinate alla salvaguardia delle popolazioni attualmente in pericolo.
Anche se non ancora applicabile, la ricerca nell’ambito delle tecniche di clonazione si muove proprio in questa ottica, il salvataggio di specie in declino e il ripopolamento di altre di recente estinzione che hanno lasciato un “vuoto” nell’ecosistema di appartenenza.
Da valutare, secondo alcuni, anche un altro punto di vista, prettamente etico: il dispendio in termini di fallimenti che tali ricerche provocano. Per un esemplare che sopravvive, tantissimi muoiono e tante madri surrogato non riescono a portare a termine la gravidanza.
Dato l’argomento, prepariamoci a sentirne parlare ancora parecchio, del resto nelle scienze come in molti altri campi, per andare avanti occorre affrontare i contrasti.
Intanto dal punto di vista della ricerca, non siamo ancora pronti per il mammut, ma siamo già a livelli impensabili solo qualche anno fa.
Credevo che quelli là fossero estinti. (Ellie la Mammut – L’era glaciale 3)
Serena Piccardi