IL CONCETTO DI MERITOCRAZIA IN ITALIA

Questo mese, complice forse il periodo estivo un po’ informale, vorrei raccontare, partendo da esempi di vita vissuti personalmente, come in Italia viene concepito il concetto di meritocrazia. Sicuramente per molti non sarà una cosa nuova, ma proprio per questo ognuno ci si può, al caso, riconoscere.

Certamente non tutte le aziende funzionano allo stesso modo e fortunatamente la descrizione a cui mi ispiro non è riferita alla società attuale dove sono direttamente impiegato, ma casi del genere sono all’ordine del giorno e possono rappresentare una buona media di ciò che offre il mercato del lavoro italiano.

Molto si è discusso circa la crisi culturale, oltre appunto che economica, che ha investito il nostro Paese negli ultimi anni. C’è chi la adduce alla rivoluzione culturale apportata dalla televisione commerciale negli ultimi trent’anni, entrata nelle case e nelle menti di ogni italiano, chi invece la accoda alla crisi di civiltà più in generale che sta attraversando l’Occidente; io credo che evidentemente, sommato a queste due motivazioni, c’è il dna degli italiani predisposto alla superficialità e all’apparenza, come lo si vede in senso positivo nello stile e nella moda e in tutti quei settori in cui i nostri connazionali eccellono, ma anche, in modo sicuramente non virtuoso, nei giudizi facili, nei sorrisi e nei saluti, nelle chiacchiere di paese e nell’essere bigotti e ipocriti soprattutto se in pubblico.

D’altronde in Italia, anche la gente che vive nelle grandi città, viene dalle piccole o medio-piccole realtà comunali, se non tutti nell’ultima generazione, molti già da quella precedente, da cui ereditano mentalità e comportamento. Ovviamente non si intende generalizzare, quando si parla degli italiani nel loro complesso, si considera sempre la maggioranza di loro.

Per arrivare dal generale al particolare, è sufficiente delineare alcuni “usi e costumi” tipici di un ambiente di lavoro medio in cui i principi di comportamento sono quelli descritti qui di seguito.

Tralasciando un discorso sui titoli di studio posseduti, perché purtroppo ormai la laurea ha perso il suo valore, sia a livello di documento riconosciuto, che per quanto riguarda la “forma mentis” che inevitabilmente possiede chi l’ha conseguita regolarmente (e non comprata si intende), ciò che emerge a cascata è come anche gli stessi responsabili, punto di riferimento e leader del gruppo, siano interessati a giudicare la validità di un dipendente in modo decisamente superficiale, preoccupandosi più di misurare la qualità dell’apparire e delle chiacchiere da corridoio, piuttosto che entrare nel merito e nella comprensione di ciò che si è lavorato.

Ed è in questo modo quindi che succedono casi in cui persone che non sanno neanche scrivere una mail di senso compiuto, né hanno dimestichezza con i programmi per inviarla, possano essere considerate migliori di altre soltanto perché, disposti ad annullare se stessi, riescono a recitare tutti i giorni la parte di coloro che sono disponibili a fare compagnia, a sorridere sempre e ad andare forzatamente d’accordo con tutti.

Allo stesso modo chi aspira ad un ruolo di responsabilità, non ha interesse principalmente a far valere il proprio merito, ma ad affossare quello altrui e cercare di coprire e favorire soltanto i mediocri e le persone che reputa non superiori a sé, ostacolando invece gli altri. Interpretando di conseguenza un qualsiasi incarico ricevuto non come servizio a seguito di una ricompensa al merito e al valore, ma come un atto di privilegio.

Ecco perché in Italia vanno avanti i perdenti di successo e probabilmente non deve stupirci neanche il recente dato Istat che ci indica come il saldo migratorio degli italiani vede un aumento di coloro che emigrano all’estero rispetto a chi arriva nel nostro Paese, dato che coloro che non sono perdenti e che non hanno quindi successo, ritengono evidentemente opportuno andare altrove.
Inoltre non ci si deve stupire se non si riesce più a “crescere” come prodotto interno lordo e se il livello di competitività rispetto agli altri Paesi, su 60 analizzati, è al 46esimo posto, tra l’india e il Perù, superata da altri come le Filippine (42).

Questo modus operandi descritto mi ricorda un po’ quel concetto in cui si sottolinea come l’importante è il viaggio e non la meta, ovvero dove ciò che sta intorno risulta più significativo di ciò che sta innanzi; verissimo, ma non è applicabile all’ambito lavorativo dove invece ciò che conta sono i buoni risultati e i numeri inequivocabili. Diversamente, se ci si trovasse al bar con gli amici, o al mare in spiaggia, il concetto del “perdere tempo” sarebbe sicuramente più idoneo.

A proposito di questo ultimo esempio, dato il periodo estivo e la sospensione delle pubblicazioni delle prossime due settimane dopo Ferragosto, ne approfitto per augurare delle buone vacanze a tutti i simpatizzanti, lettori e iscritti al nostro blog.

“E l’unico modo di fare un gran bel lavoro è amare quello che fate. Se non avete ancora trovato ciò che fa per voi, continuate a cercare, non fermatevi, come capita per le faccende di cuore, saprete di averlo trovato non appena ce l’avrete davanti. E, come le grandi storie d’amore, diventerà sempre meglio col passare degli anni. Quindi continuate a cercare finché non lo trovate. Non accontentatevi. Rimanete affamati. Rimanete folli.” – Steve Jobs

 

Filippo Piccini

Condividi:

Log in with your credentials

Forgot your details?