La collaborazione fra l’Istituto di Tecnologie Biomediche del CNR, l’Università di Bologna, il Max Planck Institute e l’Università del Nevada ha portato ad una ricerca che chiarisce l’importanza del ruolo evolutivo dei microorganismi che popolano il nostro tratto digerente. Di quella che potremmo senza dubbio chiamare una co-evoluzione, fra noi e i nostri batteri.
L’evoluzione è tutto intorno a noi. Ma anche all’interno.
I batteri ospitati dall’intestino umano evolvono così come ogni altra specie sul pianeta; si adattano alle condizioni ambientali che, nel loro caso, sono uno specchio del nostro stile di vita.
E’ noto che la cosiddetta flora intestinale (sarebbe più corretto parlare di fauna!) è di fondamentale importanza nella disgregazione di alcune sostanze e nella sintesi di altre, anche molto importanti (come la vitamina K). Oltre che nella nutrizione, tali microorganismi svolgono un ruolo chiave nel funzionamento del sistema immunitario e nella protezione dai patogeni.
Anche se al momento della nascita ne siamo privi, già durante il parto entriamo in contatto con i batteri “materni”, successivamente la colonizzazione del tratto digerente avverrà tramite ogni contatto con l’esterno, andando a costituire un particolare mix di specie.
Si può dire che ognuno di noi abbia il suo microbiota distribuito lungo il tratto digerente, ossia la propria popolazione di microorganismi simbiontici (vedi puntata precedente delle Cronache Darwiniane) costituita in massima parte da batteri anaerobi appartenenti a specie diverse. Tale popolazione varia da individuo ad individuo ma comprende un nucleo comune di specie; in sostanza se il microbiota fosse un cocktail, a partire da una base comune di vodka ognuno di noi potrebbe ritrovarsi una Capiroska, un Bloody Mary o un White Russian…
La composizione specifica dei batteri intestinali, come abbiamo detto, riflette le nostre abitudini ed è indubbio che negli ultimi secoli la dieta e l’ambiente circostante siano cambiati in modo drammatico per la specie umana. Alimentazione, igienizzazione e medicina hanno rivoluzionato la nostra vita in modo estremamente rapido ed è logico pensare che anche la composizione dei nostri simbionti si sia adattata alle nuove condizioni.
Proprio l’aspetto evolutivo di queste comunità microbiche è l’argomento di uno studio condotto da un team di ricercatori internazionale che si è occupato di sequenziare il microbiota intestinale di una delle ultime popolazioni esistenti di cacciatori-raccoglitori e di confrontarlo con quello di un gruppo di bolognesi.
Dalla ricerca è emerso che il profilo microbico degli Hadza della Tanzania non assomiglia a nessun altro mai osservato, è molto più variegato del nostro e comprende batteri considerati patogeni mentre è carente di probiotici, notoriamente benefici. Questo non significa che gli Hadza siano più soggetti a malattie croniche dell’intestino (che invece affliggono i paesi industrializzati), bensì che il mantenimento dell’antico stile di vita umano non ha richiesto i cambiamenti che hanno portato alla formazione della nostra flora intestinale.
Mentre i batteri degli Hadza sono specializzati nella degradazione di carboidrati complessi di origine vegetali presenti in bacche e piante, i “batteri bolognesi” lo sono nell’elaborazione di zuccheri semplici e raffinati tipici di una dieta ricca di pane e pasta (e tortellini!). Differenze importanti, ma sempre evidentemente collegate con la dieta, sono state riscontrate anche per quanto riguarda la sintesi degli amminoacidi.
Un aspetto che invece evidenzia in modo diretto l’effetto dell’industrializzazione sta nel fatto che i batteri degli italiani sono risultati in grado di degradare composti estranei e potenzialmente nocivi per l’organismo come il naftalene e i conservanti alimentari.
Una differenza da sottolineare per le sue implicazioni poco rassicuranti riguarda l’utilizzo degli antibiotici. Mentre la popolazione degli Hadza non è mai entrata in contatto con antibiotici, è stato possibile valutare che nei paesi industrializzati come il nostro si sviluppino profili di resistenza dei batteri intestinali.
La resistenza agli antibiotici è un fenomeno sempre più preoccupante in campo medico; l’utilizzo inappropriato di tali farmaci ha portato ad un rapido sviluppo di ceppi di batteri resistenti, il che rende difficile il trattamento di vari tipi infezioni, motivo per cui anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha convenuto che si tratti di una minaccia da scongiurare.
Non sottovalutiamo, dunque, l’importanza dei nostri batteri, che ci aiutano e ci proteggono; a noi non rimane che dargli una mano!
Poiché ci definiamo intelligenti, anche se forse con motivi poco fondati, noi tentiamo di considerare l’intelligenza una conseguenza inevitabile dell’evoluzione, invece è discutibile che sia così. I batteri se la cavano benissimo senza e ci sopravviveranno se la nostra cosiddetta intelligenza ci indurrà ad autodistruggerci in una guerra nucleare. (Stephen Hawking)
Serena Piccardi