La Bolivia e il socialismo comunitario del XXI secolo

Evo Morale prosegue sulla strada del socialismo comunitario che, cercando di coniugare tradizione e progresso, sta trasformando il Paese in un modello di sviluppo. Dopo l’espulsione dell’ambasciatore statunitense Phillipe Goldberg nel 2008, accusato di eccessive ingerenze e di aver appoggiato il golpe civico-prefettizio dello stesso anno, riconferma al suo terzo mandato la volontà di preservare l’autonomia del Paese e rifiuta accordi di libero scambio con l’UE.

È quanto emerge dalla VII Conferenza Italia-America Latina e Caraibi tenutasi all’EXPO di Milano il 12 e 13 giugno: al desiderio di allargare le relazioni internazionali nel rispetto delle differenze, fa da contraltare la consapevolezza dei danni causati dal neoliberismo e dai condizionamenti esterni fino a tempi recenti. Ciò non comporta il rifiuto d’investimenti stranieri e la chiusura alla cooperazione, ma fa emergere la necessità di mantenere le distanze dal FMI e dalla Banca Mondiale, in quanto la sottomissione alle imposizioni del settore finanziario è considerata dal presidente cocalero una pericolosissima deriva da evitare a tutti i costi. Proprio in questi giorni Papa Francesco è stato calorosamente accolto in Bolivia, dove ha fatto appello alla necessità di cambiare una società dominata dall’economia, dalla speculazione finanziaria e dal consumismo. «Voi, gli sfruttati, gli esclusi, potete fare e fate molto. Il futuro dell’umanità è in gran parte nelle vostre mani, nella vostra capacità di organizzare e promuovere alternative politiche e sociali creative», ha dichiarato il pontefice davanti alla folla speranzosa ed emozionata.

È un tema scottante all’interno di un contesto in profondo cambiamento, caratterizzato dal disgelo tra Venezuela e Usa, nonché tra il Paese emblema del capitalismo e Cuba. Pare così tracollare l’“asse del bene” creata da Morales, Chavez e Fidel Castro, che per lungo tempo ha rappresentato il rivoluzionario emblema della contrapposizione all’ “asse del male” di Washington e i suoi alleati. Non è un caso se la sua ultima vittoria elettorale nel 2014 ha voluto dedicarla proprio al leader cubano e all’ex presidente venezuelano.

Prima della sua ascesa la Bolivia era afflitta da una soffocante povertà, mentre oggi la sua economia cresce con tassi tra i più alti del continente, superiori al 5%. Se è riuscito a trionfare anche a Santa Cruz, roccaforte dell’opposizione, non ha però mantenuto il controllo di due terzi del Congresso che gli avrebbero garantito la possibilità di modificare la Costituzione. È infatti attualmente al terzo mandato presidenziale, nonostante la Costituzione ponga il limite di due, avendo sfruttato la sua entrata in vigore nel corso del suo primo mandato. La vittoria nella Mezzaluna Fertile, motore economico del Paese, riconferma che le tendenze separatiste sono divenute nel tempo più retoriche che frutto di un reale disegno secessionista. La consapevolezza di non poter abbattere Morales ha spinto le confederazioni imprenditoriali dell’area alla ricerca di un accordo con il governo che a sua volta, consapevole del peso dell’industria e dell’agricoltura cruceña, si è avvicinato a queste élite.

Juan Evo Morales Ayma, cocalero con un passato nel sindacato, venne eletto per la prima volta a maggioranza assoluta nel 2005 con il Movimiento Al Socialismo (MAS), dopo un lungo ostruzionismo che aveva determinato la sua rimozione dalla carica di deputato, poi considerata incostituzionale. Egli è il primo presidente indigeno, appartenente al popolo Uru-Aymara, nonché presidente dal 1996 del Comitato di Coordinamento delle federazioni di produttori di coca del tropico di Cochabamba. Venne riconfermato dopo la prima elezione con una maggioranza ancor più ampia diventando presto un’icona internazionale, anche per via del suo abbigliamento informale che lo vede tra i capi di Stato, tra sdegno e curiosità, sempre con la chompa di alpaca a righe, abito emblema di eleganza per gli indigeni sudamericani.

Il termine “indigeno” viene dal latino indigena, ovvero colui che è originario del luogo. Introdotto durante la dominazione spagnola, era utilizzato in riferimento alle popolazioni autoctone. I supposti limiti intellettuali dei nativi e l’incapacità di autogovernarsi erano considerati, insieme alla condizione economicamente subalterna, i loro tratti distintivi. La folclorizzazione del mondo indigeno, inteso come tentativo di considerarlo solo in riferimento a manifestazioni culturali quali feste, musica e abiti, è stato un altro dei tentativi dei settori dominanti di ridurre il loro spazio politico, ma questi popoli hanno rafforzato le proprie istanze e la propria identità. Oggi in Bolivia gli indigeni votano per gli indigeni, a seguito di un ciclo ascendente di rivendicazioni e lotte che portarono alla Guerra dell’Acqua e trovarono nella Guerra del Gas del 2003 la loro massima espressione, ponendo le basi per l’ascesa politica di Morales.

“Indio” ha ora una nuova accezione: evoca una memoria rivoluzionaria, elemento di coesione nazionale anti-coloniale e anti-neoliberista.

Grazie alle politiche portate avanti dal presidente Aymara, nel Paese andino è possibile coltivare la coca per masticarne le foglie e fabbricare prodotti locali. Recita l’articolo 384 della nuova Costituzione: “Lo Stato protegge la coca originaria e ancestrale come patrimonio culturale, risorsa naturale rinnovabile della biodiversità boliviana e  fattore di coesione sociale; al suo stato naturale, la coca non è uno stupefacente.” Studi archeologici mostrano che già 3000 anni prima di Cristo alcune popolazioni ne facevano uso e per i popoli andini è un elemento culturale imprescindibile, per usi rituali, medicinali, per integrare l’alimentazione povera, per sopportare le altezze, la fatica del lavoro e per relazionarsi con la Pachamama (Madre Terra).

Se ONU ed Europa rispettano il modello boliviano di lotta al narcotraffico gli scontri con gli Stati Uniti in riferimento a questo delicato tema permangono nel tempo, ma la discussa pianta è in realtà qualcosa di ben diverso dalla cocaina: quest’ultima rappresenta una percentuale che va dallo 0.5 al 2.5% ed è solo uno dei quattordici alcaloidi contenuti nelle foglie. Da quando gli organismi nordamericani sono stati costretti ad abbandonare il Paese la lotta al narcotraffico ha dato ottimi frutti, dimostrando un’efficienza nell’eradicazione, non più forzosa ma concertata, ben superiore rispetto al periodo precedente e riconosciuta sia dalla Fuerza de Tarea Conjunta (organismo boliviano preposto all’eradicazione delle coltivazioni illegali) che dalle Nazioni Unite.

Se nella dialettica lo scontro di Morales con la Chiesa cattolica è aspro, tanto da portarlo a dichiarare che “la Iglesia catolica es un simbolo del colonialismo europeo y por la tanto debe desaparecer de Bolivia”, non ci sono azioni concrete finalizzate a limitarne il potere. Il governo avrebbe dovuto ridiscuterne il ruolo, ma invece di promuovere la laicità dello Stato ha promosso la formazione di uno Stato plurireligioso. Il mondo cattolico ha una grande importanza nell’educazione, ne è un esempio esplicativo l’Unidad Academica Campesina -Carmen Pampa (UAC-CP), dipendente dall’ Universidad Catolica Boliviana (UCB). Questa università privata cristiano-cattolica indigena ha ottenuto il riconoscimento delle Nazioni Unite per le pratiche attuate al fine di eradicare la povertà e per gli sforzi finalizzati a garantire la sovranità alimentare delle popolazioni rurali.

Se la nuova riforma agraria ha imposto un limite al possesso di terre, molti non l’hanno però considerata soddisfacente: per eliminare il sistema latifondista il governo pose un limite di 5000 ettari ai possedimenti territoriali, ma senza effetto retroattivo. Nonostante i progressi compiuti dal Paese sotto la guida del MAS siano innegabili, questa riforma agraria determina l’impossibilità per gli indigeni di reclamare le terre a loro sottratte in passato. Inoltre, l’elevata numerosità delle famiglie determina la possibilità di aggregare le porzioni individuali, determinando nella pratica la ricreazione di una situazione simile a quella del periodo latifondista.

Probabilmente il più importante cambiamento intervenuto in Bolivia in questi anni è scaturito dalla nazionalizzazione delle risorse naturali, per sostenere le politiche sociali.

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Dal 2006 grazie all’innalzamento dei prezzi delle materie prime i proventi delle esportazioni di idrocarburi sono aumentati nove volte, riducendo il debito pubblico e accumulando 15,5 miliardi di dollari di riserve internazionali. Le tasse sul gas naturale sono al contempo passate dal 18% al 50%, il PIL è triplicato, passando da 9.500 milioni di dollari a 30.381 milioni dollari, mentre quello pro capite è aumentato da 1.010 dollari a 2.757 dollari. Il succo di questa esperienza è che le risorse naturali non devono mai essere privatizzate, perché sono patrimonio dello Stato, della popolazione e mezzo per risolvere grandi problemi.

Morales e il suo governo sono però accusati di non aver davvero chiuso le porte alle multinazionali con una vera nazionalizzazione, garantendo loro il controllo di buona parte degli idrocarburi. Il diritto a operare nel Paese venne infatti riconosciuto alle compagnie che accettarono le disposizioni  contenute nei nuovi contratti. Nonostante fossero meno vantaggiose rispetto al periodo precedente era molto improbabile che le imprese si ritirassero dal Paese, poiché i costi di produzione del gas boliviano sono comunque inferiori a quelli del resto del Sud America.

Nel 2008 la Bolivia è stata dichiarata dall’UNESCO terzo territorio del Sud America libero dall’analfabetismo. Il programma nazionale di alfabetizzazione boliviano rientra nel piano “Yo, sì puedo”, che ha abbracciato più di venti Paesi grazie al metodo cubano. Nella riuscita del progetto è stato fondamentale il ruolo del Venezuela di Chavez e della Cuba di Fidel Castro, fornitori di pedagoghi e docenti, televisori, supporti tecnologici indispensabili per le lezioni, occhiali da vista e pannelli solari per creare energia elettrica dove mancava.

Per il contributo all’aumento della scolarizzazione e alla diminuzione dell’abbandono scolastico merita di essere citato il Buono Juancito Pinto (BJP), creato per favorire l’inserimento all’interno di un percorso educativo dei bambini in condizioni economiche e sociali disagiate. Con il sistema dei “bonos” è stata garantita anche una maggiore assistenza a donne in stato interessante e alla loro prole nei primi anni di vita.

Non mancano le critiche alla “distribuzione improduttiva di fondi pubblici”. Il discusso sistema dei “bonos” è però, a ben vedere, un mezzo di protezione sociale e investimento in capitale umano, finalizzato all’inclusione e a favorire la mobilità sociale rompendo i circoli di povertà intergenerazionale.

Anche la rete idrica è a oggi molto più diffusa ed efficiente: il programmaMi Agua” ha permesso di costruire acquedotti e condutture soprattutto nelle zone più isolate e fornire così acqua per il consumo umano, animale e per l’irrigazione di zone agricole.

I salari minimi sono passati da 72 a 206 dollari, la ley de Pensiones ha invece portato l’età pensionabile a 58 anni dai precedenti 65, che coincideva paradossalmente con l’età media di vita dei boliviani. Sono poi previste sanzioni penali per quei datori di lavoro che non versano regolarmente i contributi ai loro lavoratori, con l’introduzione nel Codice Penale del reato di appropriazione indebita di contributi.

Va effettivamente riconosciuta una scarsa qualificazione di alcuni membri del governo, nonché un’estrema dipendenza dalle pressioni dei gruppi di interesse che sostengono il partito: il movimento contadino ed indigeno ha pesato e pesa estremamente sulle decisioni del suo strumento politico. Il rapporto organico che lega il MAS ai movimenti sociali in virtù della natura di partito antisistema, se da una parte determina vicinanza alla base sociale, dall’altra ha anche effetti negativi e destabilizzanti: molti militanti hanno finito per considerare il governo alla stregua di un ufficio di collocamento per accedere all’amministrazione pubblica o per accaparrarsi parte di quelle risorse derivanti dalle nazionalizzazioni, le quali furono dall’inizio distribuite secondo criteri determinati per lo più dalla capacità di pressione delle organizzazioni sul governo. Le manifestazioni, le proteste e i blocchi stradali sono divenuti quindi strumenti costanti di pressione finalizzata a ottenere vantaggi.

Nonostante i sorprendenti miglioramenti, la povertà è una piaga ancora molto radicata: circa una persona su quattro in Bolivia vive con due dollari al giorno e anche il possesso di un titolo di studio è principalmente un segno di prestigio, ben poco spendibile sul mercato del lavoro.

Se il progetto dell’autostrada che dovrebbe tagliare il Territorio Indigena Parque Nacional Isiboro Secure (TIPNIS) è benzina sul fuoco dei malumori dei suoi stessi elettori, quel che manca è un’alternativa politica, come dichiarano gli stessi critici.

Di certo esiste uno scostamento tra dettame costituzionale e realtà dei fatti, ma Il governo Morales, seppure criticabile da alcuni punti di vista e affetto da una fortissima personalizzazione del potere (Evismo) nel contesto principe delle derive populiste, si trova ad affrontare una situazione talmente complicata da attirare inevitabilmente moltissime critiche, qualunque siano le scelte effettuate.

Governare la Bolivia significa oscillare tra necessità di autonomia e di relazioni economiche e finanziarie con Paesi esterni all’America Latina; bisogno di collaborazioni con i Paesi latinoamericani vicini, ma limiti determinati dal loro protezionismo; necessità di rispettare la Madre Terra e mantenere vive tradizioni secolari e allo stesso tempo modernizzare; incrementare le attività commerciali per sostenersi, ma far fronte a ingenti costi di trasporto e di commercio determinati dalla limitata rete stradale, dalla posizione geografica e dall’assenza di un proprio porto; volontà di tutelare il proprio patrimonio naturale e il ricchissimo sottosuolo, ma al contempo la consapevolezza che il suo sfruttamento rappresenta una carta fondamentale per il miglioramento della situazione e richiamo per Paesi spesso invadenti e aggressivi; governare la Bolivia significa muoversi in un contesto caratterizzato da una radicata povertà e da limitati mezzi per intervenire. Significa dipendenza dal prezzo delle materie prime, che determina oggi un forte attivo nella bilancia commerciale, ma che portare determinare domani una crisi rovinosa a causa del crollo dei prezzi.

Da qui la necessità di agire celermente per passare da un’economia delle materie prime a un’economia industriale, che curi gli aspetti sociali e apporti quelle modifiche strutturali atte a generare una maggiore stabilità economica.

Rimane però un punto fisso: le aspettative ambiziose, derivate dalla genesi del MAS nelle piazze e nelle strade sull’onda del cambio revolucionario, hanno creato l’illusione di un sovvertimento miracoloso e repentino impossibile a realizzarsi. Il Paese è a oggi un esempio per l’impegno verso uno sviluppo che consideri la realtà senza dimenticare la propria tradizione e nel quale i progressi, al di là di innegabili limiti, scontri ideologici e polemiche, sono sempre più riconosciuti anche a livello internazionale.

Martina Masi

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