Mark Ruffalo è un attore non particolarmente famoso (nonostante due nomination agli oscar come migliore attore non protagonista), ma ogni sua interpretazione lascia quasi sempre il segno per la sua inafferrabilità, che tocca il culmine, quando si tratta di personaggi complessi e non alla portata di tutti.
Chi conosce un po’ la sua storia, non potrà certo dimenticare interpretazioni come quelle in Conta su di me di Kenneth Lonergan, In the cut di Jane Campion o Zodiac di David Fincher. Questi sono ovviamente, solo alcuni dei titoli più significativi della sua carriera, che è composta da molte altre opere non propriamente commerciali, ma non trascurabili. Quest’ultima pellicola dal titolo originale Infinitely polar bear rappresenta un ulteriore prova del suo talento. Il tema è tutt’altro che facile, ma la regista Maya Forbes, forte anche e sopratutto della sua esperienza personale, riesce magistralmente a regalare una storia tenera e paradossale, commovente e dura, senza mai cadere nella trappola del patetismo o dello struggimento a tutti i costi.
Cameron Stuart, è un padre affettuoso e un po’ fuori dagli schemi per via del disturbo bipolare che lo accompagna fin dalla nascita e un marito pazzamente innamorato della sua Maggie. I due s’incontrano e si sposano un po’ inconsciamente alla fine degli anni ’60 in pieno clima hippie. Cam è un talentuoso direttore della fotografia, che ama la vita all’aria aperta e cerca d’immortalare ogni singolo istante che la natura sembra regalargli. Così, l’improvvisa perdita del lavoro per lui non rappresenta una tragedia, ma come dirà alle sue figlie, un’opportunità per godersi appieno le meraviglie del creato.
Dopo aver superato l’ennesimo esaurimento nervoso però Maggie decide di separarsi, e la loro situazione economica non certo brillante, la costringerà a partire per New York in cerca di un futuro migliore e affidare per poco più di un anno le piccole alle cure di Cam. All’inizio il rapporto non sarà facile per via dei continui sbalzi d’umore e comportamenti inusuali, che all’occorrenza riveleranno ingegno e gratitudine e faranno di lui come sottolinea Amelia, un padre “a portata di mano”, stravagante sì, ma comunque sempre presente.
Il film, come dicevamo pur trattando un tema spinoso, ci regala un personaggio, impossibile da non amare. La follia che lo pervade e che sembra sempre sul punto di esplodere (sia nel bene, che nel male), assomiglia tanto ad una saggezza, che non siamo abituati ad intendere come tale e che spesso latita nel nostro DNA. Come se la sua malattia, e l’eccessiva sensibilità che l’accompagna valorizzasse la vita senza compromessi.
Davvero una bella sorpresa, in questa stagione cinematografica che volge al termine, senza dimenticare l’energica colonna sonora anni ’70, che accompagna ogni singolo fotogramma.
Laura Pozzi