Bentornati nella nostra rubrica d’arte. Probabilmente influenzata dal mio soggiorno in Inghilterra, questa settimana desidero farvi conoscere più approfonditamente l’unica testimonianza di arte preraffaellita presente a Roma.
I Preraffaelliti furono un gruppo di pittori inglesi operanti nella seconda metà del XIX secolo, riuniti in una Confraternita che portava avanti un ideale di pittura ispirata fortemente dall’arte medievale e rinascimentale italiana precedente alle opere di Raffaello. Promuovevano il recupero di uno stile in cui si percepisse una spiritualità veramente vissuta e non falsata, per inseguire l’ideale della perfezione estetica di cui veniva incolpato il Sanzio, percepito come l’iniziatore dei precetti accademici dai quali loro volevano allontanarsi. I soggetti delle loro opere (se si esclude il filone “sociale” di Ford Madox Brown) traspongono episodi biblici o della letteratura medievale, con Dante Alighieri, Boccaccio e il ciclo arturiano in cima alle preferenze. Anche Sir Edward Burne-Jones (1833-1898), l’artista che concepì la decorazione della zona absidale in questa chiesa, aveva attinto dalle antiche iconografie medievali, dando prova, nella scelta di determinati episodi, di una certa erudizione e di una straordinaria capacità reinterpretativa.
L’imponente decorazione musiva custodita nella chiesa anglicana di Saint Paul Within the Walls (la prima chiesa non cattolica edificata a Roma dopo l’Unità d’Italia) ci colpisce innanzi tutto perché il tipo di rappresentazione scelta per l’abside è un chiaro omaggio alle decorazioni medievali che possiamo ancora ammirare nelle chiese più antiche della città. Alla significativa scelta di utilizzare la tecnica del mosaico (che dopo la fiorente stagione tardomedievale venne messa da parte a favore della meno dispendiosa pittura ad affresco), si aggiungeva il recupero del soggetto del Cristo in trono nella Gerusalemme Celeste che sovrasta la Gerusalemme terrena.
Il colore oro è usato in grande quantità seguendo la tradizione bizantina per dare il senso della luce divina e suggerire l’ambientazione ultraterrena, sospesa nel tempo e nello spazio.
Avvicinandoci all’altare, possiamo notare che l’ultima campata della navata centrale è sovrastata da due arconi che si susseguono, anche essi decorati a mosaico. Il primo che incontriamo ospita la scena dell’Annunciazione.

Edward Burne Jones, Annunciazione
L’ambientazione è spoglia, prende spunto dal racconto che vede Maria uscire fuori dalla città di Nazareth per attingere dell’acqua da una sorgente nel deserto. Qui viene sorpresa dall’annuncio dell’arcangelo, che ascolta reverente. La prefigurazione del destino di Cristo viene suggerita dai pochi particolari aggiunti alle due figure: l’acqua, la montagna, ma soprattutto il pellicano posto in basso a sinistra. Nel Medioevo si credeva che il pellicano, che quando nutre i suoi piccoli curva il suo becco verso il petto per prendere il cibo raccolto dal sacco golare, si ferisse il petto fino a farlo sanguinare, per garantire ai suoi cuccioli il nutrimento. Questa erronea immagine diventò il simbolo del supremo sacrificio di Cristo. Sotto questa scena è scritto il saluto dell’arcangelo Gabriele: “Ave, o piena di grazia, il Signore è con te.” (Luca 1:28) e la conseguente risposta di Maria: “Ecco l’ancella del Signore: si faccia in me secondo la tua parola.” (Luca 1:38).
Il secondo arcone ospita un’altra particolare iconografia, quella dell’Albero della Vita, che Burne-Jones preferisce chiamare Albero del Perdono. Tra i soggetti concepiti in questa decorazione, questo risulta essere stato il suo preferito: nascosto alla vista dall’arcone antistante, era stato progettato per essere visto nel momento in cui ci si avvicina all’altare, svelando la sua rappresentazione salvifica.

Edward Burne-Jones, L’albero della Vita
La scena, che ha i colori e la minuziosità nei dettagli delle miniature tardomedievali, mostra Cristo crocifisso all’Albero della Vita, i cui rami sono impreziositi da riflessi dorati. Uniche figure chiamate ad assistere all’apparizione sono Adamo ed Eva in qualità di rappresentanti del genere umano, qui in una rarissima raffigurazione che li vede genitori di Caino e Abele. Le piante che fanno da contorno alla scena sono legate alla figura cristologica: il grano e il giglio dell’Annunciazione. Sotto la scena è riportato in latino il passo: “Nel mondo voi avrete afflizioni; ma fatevi coraggio: io ho vinto il mondo.” (Giovanni 16:33).

Edward Burne-Jones, Gerusalemme Celeste e Gerusalemme Terrena
Arriviamo finalmente al grande mosaico absidale. La nostra attenzione è catturata dall’imponente figura del Cristo in Trono, come viene raccontato nella visione apocalittica di Giovanni. Al di sopra, sul fondo del cielo, si raccolgono angeli a celebrare la gloria di Cristo che, assiso su un trono circondato da cherubini e serafini, tiene nella mano sinistra il globo terrestre e con la mano destra fa un gesto benedicente. I suoi piedi poggiano su un arcobaleno, sotto il quale sgorgano i quattro fiumi dell’Eden. Il trono di Cristo è circondato dai sei aperture, ognuna presieduta da un arcangelo connotato dal suo attributo. Partendo da sinistra, si riconoscono Uriele, guardiano del sole e Michele, l’arcangelo combattente. Significativamente, la porta alla destra di Cristo è vuota: era il posto di Lucifero, l’arcangelo caduto. Continuando le identificazioni, a sinistra di Cristo si riconosce Gabriele con il giglio dell’Annunciazione, Chemuele, che tiene in mano una coppa e infine Zofiele, guardiano della luna. Al di sotto di questa scena imponente corre l’iscrizione in ebraico: “In principio Dio creò il cielo e la terra.” (Genesi 1:1), seguita dal passo in greco: “In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio.” (Giovanni 1:1). Al di sotto, una schiera di dodici angeli separa le acque e crea una divisione con la rappresentazione sottostante, la Gerusalemme Terrena che fa da sfondo alla celebrazione della Chiesa Trionfante.
Questa parte della decorazione venne realizzata postuma dall’allievo e assistente Thomas Rooke sulla base dei bozzetti del maestro. La caratteristica curiosa di questa scena è che, seguendo le direttive del reverendo Nevin, fondatore della chiesa, i personaggi qui rappresentati (con l’eccezione di San Paolo, cui la chiesa era dedicata) dovevano avere i volti di persone a loro contemporanee. Così, Burne-Jones raffigurò committenti, personaggi pubblici, autorità religiose, amici e parenti.
La rappresentazione è articolata in cinque gruppi distinti: all’estrema sinistra troviamo gli asceti, visti come coloro che costituivano l’elemento profetico nella vita della Chiesa. In questo gruppo è inserito San Francesco d’Assisi, riconoscibile dalle stimmate. Il secondo gruppo è costituito da donne, che rappresentano il servizio di Dio nella vita quotidiana. Tra di loro (distinguibili per i propri attributi) Marta con le chiavi e la Maddalena con la scatola d’unguento.
Il gruppo centrale, il più numeroso, celebra le figure ecclesiastiche più importanti della Chiesa prima dello Scisma d’Oriente e vede al centro la figura di San Paolo affiancata da cinque Padri della Chiesa Orientale (tra questi, Burne-Jones si è raffigurato nel San Giovanni Crisostomo, accanto a San Paolo) e cinque Padri della Chiesa Occidentale (Sant’Ambrogio ha il volto di J.P.Morgan, uno dei committenti americani e Sant’Agostino quello dell’arcivescovo Tait di Canterbury).
Segue il gruppo di sante vergini raffigurate con il loro strumento di martirio (qui si riconoscono nella Santa Barbara il volto di Lady Georgiana, moglie di Burne-Jones, e in Santa Dorotea la figlia Margareth).

Edward Burne-Jones, Sante vergini
La scena termina con il gruppo dei santi guerrieri e patroni di vari Stati, difensori della pace e del buon governo. Qui abbiamo il maggior numero di volti riconoscibili: San Giacomo di Spagna ha le sembianze di Garibaldi; San Patrizio è il generale nonché Presidente degli Stati Uniti Ulysses Grant; Sant’Andrea è il Presidente Abraham Lincoln. Anche Rooke figura in questo gruppo, come il santo soldato con la lancia.

Edward Burne-Jones, Santi guerrieri
Una volta finito di ammirare tutto questo imponente programma decorativo, non mi resta che svelare l’ultima ma più significativa curiosità: Burne-Jones non vide mai dal vivo l’esecuzione del suo capolavoro. Preferì rimanere in Inghilterra e, una volta assicuratosi di poter contare sul fidato Rooke per la supervisione in loco e su una copia del catalogo di tessere da mosaico del laboratorio di Murano cui aveva affidato la realizzazione, aveva avviato un corposo carteggio per dare indicazioni minuziose sui colori da usare e su modo e forma in cui dovevano essere tagliate le tessere. Forse per questo il risultato finale lascia ancora più stupiti.
Ovviamente, ne consiglio la visita. Qui il sito della chiesa:
E per chi non riesce a venire a Roma, ma è rimasto incuriosito dall’opera di Burne-Jones, ho trovato un video che ne permette una visita virtuale:
Pamela D’Andrea