Dopo la bella e meritata vittoria di “Birdman” all’ultima notte degli Oscar, svoltasi tre giorni fa, questa settimana ci accingiamo a parlare di un altro film, molto diverso da quello di Innaritu, ma con alcuni punti in comune che meritano approfondimento. La pellicola in questione è “Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza“, titolo bizzarro ma alquanto efficace, che rimanda a certe opere del maestro georgiano Otar Iosselliani.
Ironia della sorte i due film, erano in concorso all’ultima mostra del cinema di Venezia e chi ha avuto la meglio, inaspettatamente è stato proprio il film di Roy Andersson, che capovolgendo tutti i pronostici si è portato a casa il tanto ambito Leone d’oro. Ora chi ha seguito la notte delle stelle, si chiederà come mai, la pellicola di Innaritu in Laguna sia stata totalmente ignorata e magari cominceranno i soliti luoghi comuni, sul fatto che in Italia non sappiamo riconoscere e premiare le pellicole migliori. Non sappiamo il perchè dell’esclusione (e a questo punto c’interessa relativamente poco), ma siamo certi che senza questo riconoscimento la pellicola svedese, avrebbe avuto pochissime chance di trovare una distribuzione italiana. E sarebbe stato un vero peccato, perchè la cinematografia nordica, che a molti può sembrare un “oggetto non identificato” (a causa delle poche opere visibili solo nei festival), merita attenzione, rispetto e sopratutto deve poter contare su un pubblico che ne valorizzi l’importanza.
Ma torniamo al film, che si compone di trentanove piani sequenza fissi, che assomigliano a dei quadri e che apparentemente paiono slegati tra di loro. A creare una sorta di collante, ci pensano due venditori, che sembrano provenire da qualche skech comico d’altri tempi, ma che nonostante tutto non riescono a vendere i loro prodotti che non fanno ridere nessuno. In ognuno di questi quadri, si raccontano storie o situazioni al limite dell’assurdo dove il grottesco e il surreale appaiono le uniche condizioni possibili. Il dramma, così come siamo abituati a intenderlo viene stemperato da un’ironia e uno straniamento che ci fa quasi sorridere, ma che sotto sotto sappiamo esistere e che teniamo ben distante da noi. E sì, qui la vita appare in tutto il suo nonsense e chissà se è davvero giusto riderne (interrogativo che forse si pone lo stesso regista).
Dicevamo all’inizio delle affinità con Innaritu, che non si limitano solo ad avere un volatile nel titolo o il piano sequenza nella scelta registica: le due opere seppur con stili e contenuti diversi vanno nella stessa direzione, ovvero la vita intesa come una rappresentazione teatrale o impressa su un quadro, vera o falsa che sia di certo assolutamente incomprensibile.
Laura Pozzi