Ci sono opere (cinematografiche e non), che sfidano le coordinate spazio temporali, raggiungendo a volte risultati davvero inaspettati e sorprendenti. E’ il caso di “Il regno d’inverno” monumentale film del regista turco Nuri Bilge Ceylan, fresco vincitore della palma d’oro all’ultimo festival di Cannes, che già si era fatto notare nel 2011 con “C’era una volta in Anatolia”.
Il protagonista della storia, Aydin, vive insieme alla giovane moglie Nihal e alla sorella Necla in uno sperduto villaggio della Cappadocia, gestendo un pregiato resort incastonato tra le rocce e progettando di scrivere un libro sulla storia del teatro turco. Ex attore disilluso, sorretto da un’apparente e impenetrabile calma, trascorre le giornate osservando il mondo dalla sua stanza e intrattenendosi in animate discussioni con la sorella, che cerca in tutti i modi un rimedio contro i mali della società, e gli istinti malvagi dell’uomo. Tagliato fuori dal mondo e circondato da una natura selvaggia e imponente, la sua vita subirà una scossa, quando il suo rapporto con Nihal verrà messo a dura prova e sarà costretto a partire per fare un bilancio della sua vita.
Il film dura 196 minuti e questo probabilmente scoraggerebbe, anche il più appassionato fautore di cinema, ma in questo caso ci troviamo di fronte a un vero e proprio capolavoro, che sarebbe un peccato mortale perdere. Non è facile entrare nel meccanismo di questa storia, soprattutto per un cinema ormai fuori moda che riporta inevitabilmente alle opere di Ingmar Bergman o Andrej Tarkoviskij, ma una volta stabilito il giusto approccio, sarà quasi impossibile uscirne e la sua durata, apparirà l’unica possibile per una storia che emoziona e fa riflettere. Ci sono molti rimandi letterari, a partire da Shakespeare che Ceylan omaggia (dal nome del resort Othello, da un manifesto di “Antonio e Cleopatra” fino a una diretta citazione) fino a Cechov, ma il regista padroneggia il tutto con uno stile personale tipico dei grandi autori.
Il regno che Aydin, ha faticosamente costruito (come spiega alla troppo giovane e inesperta Nihal), per proteggere se stesso e i suoi cari, si rivelerà una trappola a doppio taglio, una gabbia dorata implacabile più della vita vera, dove non serve opporsi, ma abbandonarsi senza troppe domande. E così, Aydin attorniato da un paesaggio tanto surreale, quanto arduo e crudele, continuerà i suoi giorni, in una sorta di letargo invernale dove non vi è certezza del risveglio. Magnifico film.
Laura Pozzi