Ecco cosa succederebbe se Letta cedesse ai diktat del Caimano: niente soldi per i giovani e per i lavoratori, un grande regalo ai ricchi e ai pensionati.
Facile a dire “Imu”. La tassa sulla casa, più odiata della stessa vecchia Ici, non può essere cancellata senza mettere a rischio il piano del nuovo governo per il rilancio dell’economia. Infatti, le lo Stato dovesse rinunciare alla tassa sulle proprietà immobiliari (o per lo meno sulla prima abitazione), il costo dell’operazione richiesta da Silvio Berlusconi potrebbe essere di circa 8 miliardi di euro, eliminando di fatto qualsiasi libertà di manovra per il Paese, come il blocco dell’aumento dell’Iva previsto per luglio e gli sgravi fiscali per le aziende.
Il vero problema: il costo del lavoro. Ancora una volta, quindi, si ripropone l’antico quanto annoso problema: tassare chi possiede o tassare chi produce? Il nostro Paese ha sempre privilegiato un’alta tassazione sul lavoro. Tuttavia, l’effetto della globalizzazione e il mercato comune europeo che ha bloccato la possibilità di svalutazioni monetarie competitive non consentono al sistema di essere concorrenziale sul mercato globale a causa dell’elevatissimo costo del lavoro. Vista la possibilità che potrebbe aprirsi di un allentamento dei vincoli europei, oggi il governo punta a ridurre la tassazione. Tuttavia la coperta è sempre troppo corta e quindi si dovranno prendere alcune decisioni. Come sostiene lo stesso Tito Boeri, è preferibile ridurre la tassazione sul lavoro e mantenere invariato il gettito dell’Imu. Questo permetterebbe di dare ossigeno alle aziende, far crescere le buste paga dei lavoratori e favorire nuove assunzioni, mentre sarebbe possibile riparametrare l’Imu diminuendo il gettito sulla prima casa di famiglie a basso reddito ed aumentarlo sulle seconde e terze case.
Imu, una tassa sui ricchi. Ma non è dello stesso avviso Silvio Berlusconi. L’appoggio a Enrico Letta ha un costo ed è già arrivato il conto. Infatti, il Cavaliere fa dell’abolizione e della restituzione dell’Imu sulla prima casa una sua battaglia personale. In ballo ci sono milioni di voti, soprattutto dei ceti più abbienti e dei pensionati. Nonostante la propaganda berlusconiana, solo la metà delle famiglie italiane ha pagato questa tassa. Di questi, il 36% nel 2012 ha pagato meno 100 euro per l’Imu, più o meno 27 centesimi di euro al giorno. Chi invece contribuisce considerevolmente a questa tassa sono proprio le fasce di popolazione più facoltose.
Quello che senza Imu non si può fare. Togliere l’Imu significa quindi, per un paese che non può sforare la quota 3% nel rapporto deficit/Pil, rinunciare al blocco dell’aumento dell’Iva dal 21 al 22% con un probabile aumento dei prezzi al consumo, rinunciare al bonus per le ristrutturazioni ai fini del risparmio energetico, rinunciare al fondo per le piccole e medie imprese per far fronte al credit crunch. Non ci saranno i soldi nemmeno per rifinanziare la cassa integrazione in deroga (fondamentale per far fronte alla crisi che le aziende stanno vivendo e che rischia di far aumentare il livello di disoccupazione), per rinnovare i contratti ai precari della pubblica amministrazione e per le missioni militari all’estero. A rimetterci saranno soprattutto i giovani: sfumerebbe quindi anche il credito d’imposta per le aziende che assumono.