Pensieri

LA RICERCA DI UN ORIZZONTE

Cosa manca? La “fame di futuro”, la “voglia di vita”. Ho visto giovani studiare sotto i lampioni a Nairobi e dove v’è “entusiasmo civile” e non c’è “spending review” che tenga. È l’ambiente il problema e non certo il giovane in quanto tale.


Veniamo al tema: cos’è l’economia civile. Non è facile dare una definizione, perché essa è più cose insieme: un processo vitale; un organismo poroso ove ognuno porta del suo; un perenne “work in progress”. È una specificità tipicamente italiana, latina, cattolica che ha trovato radici prima nell’Appennino e poi nelle Alpi. Qui non v’è disgiunzione tra vita e pensiero ma la prima alimenta il secondo e viceversa. Lo studioso di “economia civile” è anche operatore, attivista, teorico vero. Per dirla con Einaudi … “la biblioteca continua in strada” in una reciproca influenza tra teoria e prassi. Tutto comincia con l’Umanesimo civile del ‘400 – ‘500 toscano, umbro, campano. Si tratta di un modello promiscuo, meticcio, santo e pagano.

Guareschi con il suo don Camillo e Peppone ha raffigurato bene questa Italia in cui persone e culture agli antipodi possono, in fondo, volersi bene. Tra eguali v’è solo incesto. In questa diversità vi sono Chiese, arte, letteratura, banche e fiere che nascono dalla pluralità.

Nella Firenze del Rinascimento è prevalso il “bello”! Un’armonia che è stata una vera e propria “forma terapeutica”. Conseguente al “bello” è l’“attenzione all’altro”, poiché si scopre la dimensione pubblica e non più privata della felicità. Ciò ha contribuito a forgiare il pensiero secondo cui “o il bene è di tutti o non è di nessuno”. La felicità viene/veniva da due componenti: lavoro e famiglia. Più dal lavoro che dalla famiglia. Ed è stato il lavoro che ha portato alla “felicità pubblica” intrisa di relazioni ed interrotta da feste.

Nell’Ottocento Romagnosi, Cattaneo, Mazzini furono tra i molti che contribuirono all’“incivilimento dei più”. E Verga nei Malavoglia “non lascia per strada i vinti”.

Da questo humus è nata l’economia civile ove la cooperativa, il distretto, il genius locidel territorio come sistema non sono eccezioni.

L’Economia cessa d’essere civile quando non crea posti di lavoro, specula finanziariamente, inquina, si avvale di materie prime sottopagate o da lavoro schiavo. Diventa incivile.

Per il cattolicesimo il paradigma di riferimento è la comunità. Importante è “mettere a sistema la sua storia” e, per farlo, serve coraggio, soprattutto in tempo di crisi.

In Italia le equazioni business is business o gift is gift non sono valide. Da noi la logica dell’affare e la logica del dono possono andare insieme: non così per la terra di Angela Merkel, dove, a partire dalla riforma protestante ( quando Lutero contestò l’acquisto della Grazia attraverso le preghiere; da cui derivano i nostri “grazie -prego”), mercato è mercato e dono è dono.

Il modello italiano – comunitario – è certamente più lento di quello tedesco e presenta nevrosi, storture e deviazioni, come per esempio le mafie che pure sono anch’esse organizzazioni comunitarie e mutuali, ma non si comportano sicuramente in modo solidale.

L’avere come riferimento sempre e solo la Germania, come fa Mario Monti, non è utile in quanto vi sono diversi spread tra Germania ed Italia, molti di essi che pendono a nostro favore. Uno su tutte l’integrazione dei disabili nelle scuole. Alcuna scuola speciale. Alcun ghetto.

Delle tre parole che compongono lo slogan “Liberté, Egalité et Fraternité” la fraternità nacque in Italia ed in particolare a Napoli. Non a Parigi.

Tuttavia bisogna rispettare anche le regole economiche: per esempio favorire un’azienda che ha prezzi più alti nuoce al mercato. Non ha nulla a che vedere con la fraternità ma è “familismo amorale”. L’economia non è da confondere con la filantropia ma deve essere capace di associare reciprocità e inclusione con un “mutuo vantaggio”.

La Cooperazione in Trentino è un modello in tal senso perché ha trasformato i “contadini servi” in imprenditori. Cooperazione significa “tirare fuori- far emergere”.

Così la Cooperazione sociale è stata grande in Italia quando è stata in grado di “tirare dentro” nel lavoro le persone svantaggiate, sottraendole all’emarginazione. Lo stessomicrocredito o il commercio equo tendono ad includere. Ora la cooperazione sociale rischia di vivere o di sopravvivere attraverso bandi pubblici, non svolgendo la propria funzione di sentinella. “Non c’è più vino”…disse Maria alle nozze di Cana.

Le tentazioni dell’economia civile sono i manager da 1 milione di euro ed auto dal costo di un appartamento. Sta qui il problema. Non siamo stati in grado di crearci un nostro management capace di redigere bilanci, governare personale, che provenga dalla nostra cultura e che abbia un limite. Già ai tempi di Adriano Olivetti il rapporto di reddito nella stessa azienda tra la persona con mansioni più umili e quella con maggiori responsabilità era di 1 a 10, mentre per il no profit bisognerebbe arrivare a un rapporto 1 a 3.

Dovremmo costituire in tutto il territorio nazionale “scuole di economia civile” come veri e propri centri culturali con una offerta formativa differenziata che contempli pure i campi scuola ove possono partecipare dai 15enni ai pensionati.

Necessitiamo di “luoghi fisici” di pensiero per contrastare i “nonluoghi” dematerializzati della finanza speculativa. Oggi chi non investe in pensiero non ha alcun futuro.

La crisi è paragonabile al viaggio. Quando Cristoforo Colombo partì per le Indie necessitò di tre cose: una mappa, un orizzonte, un incentivo economico per permettersi caravelle ed equipaggio. Quest’ultime le fornì la Regina Isabella. La mappa, sbagliata, la fornì Paolo dal Pozzo Toscanelli, matematico dell’Università di Padova che aiutò Filippo Brunelleschi nei calcoli per la costruzione della cupola di Santa Maria del Fiore di Firenze. Colombo scrisse la mappa vera tornando dalle “Indie”. Ma fu l’orizzonte il cuore del tutto. In un mondo così incerto dovremmo suscitare la “nostalgia del mare”. Nessuno ci può fermare. Nemmeno la “spending review”. Saremo come i ragazzi che studiano a Nairobi sotto i lampioni. Stessa “voglia di vita”; stessa “voglia di futuro”.

da unimondo.org

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