Pensieri

IL REFERENDUM PER RIDURRE LO STIPENDIO AI POLITICI? SOLO UNO SPRECO DI FONDI PUBBLICI

Ci hanno provato i ragazzi di Unione Popolare a ritagliarsi un po’ di sana visibilità per proporre un referendum popolare e chiedere l’abrogazione dell’articolo 2 della legge 1261 del 1965.


L’iniziativa, fino a ieri oscurata praticamente da tutti i media tradizionali, è stata invece molto diffusa e dibattuta in rete. Come spesso accade, però, sono state numerose le mistificazioni e altrettanti gli errori interpretativi.

Prima di tutto, come del resto si trova scritto sul sito del comitato promotore, l’eventuale referendum non chiederebbe la cancellazione delle indennità parlamentari (che sono sancite dalla Costituzione e quindi non scalfibili da una simile iniziativa popolare) ma solo l’abolizione della “diaria a titolo di rimborso delle spese di soggiorno a Roma”. Una spesa comunque non da poco per lo Stato ed i contribuenti visto che, ogni parlamentare, grazie all’articolo 2 della legge 1261 del 1965, percepisce ogni anno circa 48.000 euro. Il tutto grazie anche ad un rimborso spese in cifra fissa che non prevede alcuna giustifica contabile. In pratica, come fanno notare anche i promotori, si tratta di una doppia indennità regalata a chi siede in Parlamento.

MA IL REFERENDUM SAREBBE COSTITUZIONALMENTE VALIDO?

Prima di scrivere questo pezzo, ho contattato il comitato promotore per richiedere maggiori informazioni e chiarirmi qualche dubbio. Da loro ho ricevuto due mail: la prima mi invitava a reperire tutti gli approfondimenti che mi servivano direttamente sul sito. La seconda, in risposta al mio dubbio dettagliato sulla legittimità costituzionale dell’iniziativa, mi rassicurava così:”Caro Germano non si preoccupi… abbiam fatto lavoro di verifica preventiva con fior di giuristi”.

A parte dare ascolto alle basi di diritto Costituzionale che mi avevano fatto scattare il primo campanello d’allarme, ho così deciso di rivolgermi anch’io a qualche ottimo giurista per capirne di più e meglio. Ecco: l’aspetto che più mi lasciava (e mi lascia) perplesso riguarda proprio l’art. 1 della predetta legge. Non si tratta infatti di un articolo a se stante e lo si intuisce leggendo che “L’INDENNITA’ di cui parla l’art. 69 COST. è disciplinata dalla legge 1261/1965”. Ciò significa che le norme a seguire, tra cui c’è anche la n. 2, sono parte integrante del concetto di indennità e quindi non possono essere abrogate singolarmente e separatamente dal resto della legge.

Da poco, inoltre, sono comparsi sul web articoli che dipingono il referendum come un mero sfogo populistico cogitato per rimpinguare le casse del comitato promotore. In effetti, anche se sul sito di Unione Popolare spicca il messaggio ”UNIONE POPOLARE, unico componente il Comitato Promotore Referendum, non gode di alcun finanziamento pubblico, provvedendo in proprio alle spese della campagna referendaria”, c’è da dire che i dubbi sull’utilità di tutta la manovra restano.

I RECENTI REFERENDUM NON LASCIANO BEN SPERARE

Anche se l’interpretazione del sottoscritto e del giurista interpellato non fossero esatte del tutto o risultassero addirittura completamente errate, c’è però da considerare un poco esaltante dato oggettivo: i risultati e le volontà popolari delle recenti iniziative referendarie (acqua pubblica e referendum in Sardegna), sono stati di fatto sconfessati completamente da decretini e leggine approvate in fretta e furia da quella casta che si voleva combattere. In particolare in terra sarda, la beffa riguardava proprio uno dei quesiti che prevedeva la riduzione degli stipendi dei politici locali. Il popolo si è espresso chiaramente ma è stato di fatto ignorato e scavalcato dalla classe dirigente.

Se anche si riuscisse nell’epico raggiungimento del 50+1 per il quorum, come si potrebbe costringere i membri dell’odiata casta ad auto-decurtarsi lo stipendio? E poi, se questo referendum era sul serio così potenzialmente rivoluzionario, come mai non ne hanno parlato nemmeno il blog di Beppe Grillo o il Fatto Quotidiano? Due realtà editoriali e movimentistiche che da anni si battono contro i privilegi dei politici italiani? Sarà che, come molti hanno argomentato, le basi sulle quali si fonda l’iniziativa sono troppo poco solide e credibili?

Ultimo quesito: come si intende sostenere i costi per l’organizzazione del referendum? In Italia ci sono oltre 8000 comuni dove poter eventualmente votare. Gli scrutatori come verranno pagati? Le spese per le schede di voto? Il resto del personale addetto? Tutto sul serio auto-finanziato dai comitato promotore? Ovviamente no: a pagare sarà lo Stato e cioè noi.

Vogliamo sul serio attaccare e “punire” la casta? Ottimo: allora pensiamo a batterci unici per la riforma concreta della legge elettorale. Fossilizzarsi sugli stipendi, è fuorviante e del tutto inutile. Ci servono prima di tutto politici eletti in maniera meno truffaldina (o meglio, non eletti proprio). Poi penseremo a quanto guadagnano. Anche perché, ad avviso dello scrivente, se oggi siamo così indignati per i guadagni dei parlamentari, è prima di tutto per la loro cialtroneria. Fossero persone impegnate ed oneste, ci preoccuperemmo molto meno dei loro compensi.

da YOU-ng.it

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