NON PIANGETE LA MORTE DELLA BORGHESIA ITALIANA: STA NASCENDO LA BORGHESIA DIGITALE
Chiamare oggi la borghesia italiana al “risveglio” sarebbe come esortare la media nobiltà francese a riformare lo stato monarchico verso il 1788.
Non è da questa elite che proverrà la rinascita nazionale, perché l’elite italiana ha tutto l’interesse affinché la situazione economica e sociale rimanga così com’è.
L’aspetto è chiaro da due dati fondamentali. La ricchezza in Italia è sempre più polarizzata: pochi hanno tanto, e tanti hanno poco. Inoltre la mobilità sociale è fortemente rallentata: tra le grandi economie OCSE, siamo in una situazione peggiore rispetto agli Stati Uniti, e migliore in paragone solo alla Gran Bretagna.
Il concetto sociale del “latifondo industriale” si è cioè diffuso dal meridione pre-risorgimentale a tutto il paese. E’ per questo motivo che il modello economico italiano non è inclusivo ed è orientato allo sfruttamento delle classi più deboli. Un laureato italiano a cinque anni dal diploma riesce a portare a casa appena 15.000 euro lordi, mentre la disoccupazione giovanile si avvicina al 30%.
A esser realisti, si può pensare che questa situazione sia il normale esito di un’evoluzione storica. Il capitalismo in sé porta alla concentrazione della ricchezza: è per questo che nei sistemi orientati al “mercato” esistono organismi di controllo pensati per impedire i monopoli. Come ormai evidente, le agenzie antitrust non sono però in grado di controllare tutte le concentrazioni, e per questo dopo un po’ l’effetto sulla società economica diventa insostenibile. La prima grande crisi di accumulazione del reddito è stata risolta solo con una Guerra Mondiale, essa stessa una guerra borghese, che ha resettato il sistema economico. La seconda crisi è stata risolta con il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991. Adesso, non sembra ci siano eventi possibili di portata tale, da risollevare la situazione.
La crisi italiana, così come la crisi internazionale, è crisi di distribuzione del reddito. Vanno bene i settori del lusso e della grande distribuzione a basso prezzo. Il circuito economico si sta riorganizzando per soddisfare i bisogni polarizzati e le capacità di spesa polarizzate. La classe media borghese viene travolta da questo vortice.
Gira su internet un divertente post in cui si fa notare come tutti siano in “crisi di liquidità”: banche, stati, aziende, cittadini; e si domanda “dove siano finiti i soldi”. Il punto è che i soldi ci sono, ma non “girano”: chi spende sa che il denaro finirà in un sistema polarizzato, e che i soldi non gli torneranno in tasca tramite il salario. La polarizzazione ha bloccato il ciclo monetario.
Tutto questo, chiaramente, non è sostenibile nel lungo periodo. Citando Polanyi, dobbiamo accettare che il successo di una classe sociale non dipende dalla capacità di soddisfare bisogni propri, ma dall’entità e dalla varietà di bisogni di altre classi che è in grado di soddisfare. La media borghesia francese è crollata nel 1789 perché non era in grado di rappresentare le necessità della classe borghese emergente. Il sistema sociale è collassato e ha fatto cadere con sé la testa del re.
E’ per questo che le elite italiane (così come quelle occidentali, mediorientali e, sempre più, asiatiche) si sentono braccate. La crisi ha reso evidente che non sono in grado di gestire e distribuire la produzione di reddito. E la classe media italiana non può più risorgere: il vuoto culturale imposto dal 1968 non può più essere colmato. Scordiamoci i riferimenti culturali degli anni Cinquanta: la borghesia ambiziosa che ha prodotto Enrico Mattei e Vitaliano Brancati non può più essere riesumata. Resiste la borghesia in Germania, che negli anni Ottanta produceva ancora capolavori sul romanticismo tedesco come i film Herzog-Kinski – mentre da noi esplodeva l’epopea dei film di Natale.
Sta nascendo una nuova forma di borghesia, digitale e internazionale, il cui denominatore comune non è l’accumulo, ma l’informazione – per questo è più difficile da controllare. Questa borghesia digitale si sta esprimendo in scintille di pensiero e movimento, chiamate Movimento Cinque Stelle, Decrescita, No Tav.
Le idee possono essere contestate e accusate di fascismo, ma evidenziano il desiderio di identità. Preclusa la via dell’accumulo, si passa a quella dell’identificazione culturale. Secondo il metro conservatore di ciò che rimane della media borghesia italiana, si tratta di movimenti populisti – ma è proprio da qui che nasce la nuova identità.
Perché il primo gesto di questi movimenti è quello del rifiuto. Le elite che hanno elevato Mario Monti al potere hanno imposto un’agenda fortemente conservatrice, orientata alle tasse come strumento di contenimento sociale, e alla polizia fiscale come mezzo per la repressione economica. Eppure, la pressione nella pentola sta salendo: gli italiani hanno realizzato che nel paese è in atto un colpo di stato simil-franchista, che ha sequestrato i luoghi di rappresentanza democratica ed economica.
Non durerà a lungo. Non sarà una rivoluzione armata, ma una rivoluzione morbida e popolare. Non diventeremo come i paesi sudamericani degli anni Settanta, perché diverse sono le condizioni di alfabetizzazione, e diverso è il vissuto sociale. Soprattutto non porterà a un miglioramento delle condizioni economiche a breve: le rivoluzioni sono tali, perché il popolo rinuncia alla compensazione materiale. Il beneficio atteso della rivoluzione è superiore al sacrificio attuale. Da qui, tutto può accadere.
da Linkiesta.it